“Dallo sciamano allo showman”, Nini Giacomelli: “Così raccontiamo la Valle Camonica al mondo”
È partita il 3 agosto da Paspardo, in provincia di Brescia, la 23ª edizione di “Dallo sciamano allo showman“, il festival che da oltre vent’anni anima la Valle Camonica

“Dallo sciamano allo showman”, Nini Giacomelli: “Così raccontiamo la Valle Camonica al mondo”
È partita il 3 agosto da Paspardo, in provincia di Brescia, la 23ª edizione di “Dallo sciamano allo showman“, il festival che da oltre vent’anni anima la Valle Camonica
“Dallo sciamano allo showman”, Nini Giacomelli: “Così raccontiamo la Valle Camonica al mondo”
È partita il 3 agosto da Paspardo, in provincia di Brescia, la 23ª edizione di “Dallo sciamano allo showman“, il festival che da oltre vent’anni anima la Valle Camonica
È partita il 3 agosto da Paspardo, in provincia di Brescia, la 23ª edizione di “Dallo sciamano allo showman“, il festival che da oltre vent’anni anima la Valle Camonica con un percorso culturale unico, fatto di musica d’autore, letteratura, fumetto e satira. Un festival “diffuso”, che si snoda tra borghi e montagne fino all’11 ottobre, intrecciando arte e territorio, pensiero e paesaggio, in un dialogo continuo con le incisioni rupestri preistoriche che hanno reso questa valle il primo sito UNESCO d’Italia.
Nato da un’idea di Nini Maria Giacomelli e Bibi Bertelli, e diretto fino al 2006 da Sergio Bardotti, Dallo sciamano allo showman si distingue per una proposta trasversale e profondamente identitaria. Il nome stesso del festival è un gioco di parole che racconta molto: lo “sciamano” evoca spiritualità, memoria, radici; lo “showman” incarna invece il presente, il linguaggio dello spettacolo e della comunicazione. Da questo incontro nasce “Shomano”: un neologismo che racchiude l’anima doppia e simbolica della rassegna.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Nini Maria Giacomelli, ideatrice e anima storica del festival, per farci raccontare da lei com’è nata questa edizione e cosa significa oggi portare la cultura nei luoghi spesso dimenticati delle nostre montagne. Un dialogo che attraversa arte, memoria e futuro, con lo sguardo sempre rivolto al segno: quello inciso nella roccia, ma anche quello lasciato da chi fa cultura con dedizione e coraggio.
Vorrei partire chiedendoti qualcosa su questa 23ª edizione del Festival “Dallo Sciamano allo Showman”. Eravamo presente alla presentazione al teatro di Milano, ma mi piacerebbe sentirla raccontata da te. Conosci bene questo festival, lo vivi da sempre. Com’è nata e come si è sviluppata questa edizione?
La fortuna di questo festival è stata, fin dall’inizio, quella di trovare un titolo evocativo, che richiamasse la nostra Valle. Volevamo far conoscere la Valle Camonica e soprattutto le incisioni rupestri, che sono oltre 300.000: un patrimonio incredibile, purtroppo ancora troppo poco noto. Parliamo del primo sito italiano a essere riconosciuto Patrimonio UNESCO! La nostra missione, fin dalla nascita del Centro Teatrale – ormai 40 anni fa – è stata portare cultura, laboratori per i ragazzi, iniziative, ma soprattutto valorizzare il territorio.
Il nome “Dallo Sciamano allo Showman” nasce da un’idea giocosa: lo sciamano è inciso sulle rocce della valle e abbiamo creato questo calembour che piacque molto anche a , che fu nostro direttore artistico nei primi anni. È stato un grande onore avere al nostro fianco personalità come lui, e anche la fratellanza con il Club Tenco ci ha dato una spinta enorme.
Con la crisi del 2007, è diventato più difficile, ma siamo comunque riusciti a portare eventi anche all’estero: a San Francisco, a Bruxelles, e due anni fa, durante Procida Capitale della Cultura.
Una delle cose che mi ha colpito è la varietà: musica, fumetto, laboratori, mostre, masterclass. Come riuscite a tenere insieme tutto questo senza perdere coerenza?
È proprio questo il cuore del festival: creare un “caleidoscopio” dove ogni persona, di qualsiasi età o provenienza, possa trovare qualcosa che lo appassioni. Ma sempre con un filo conduttore: il segno. Che siano i segni dei cantautori o quelli delle incisioni rupestri, tutto è legato da questa idea del segno come forma di espressione.
Quest’anno, ad esempio, presentiamo un fumetto pubblicato a puntate su LancioStory, che racconta la Valle Camonica del 1500 attraverso il personaggio di Dago. Il disegnatore, Paolo Ongaro, ha fatto un lavoro straordinario: i dettagli degli affreschi, delle architetture, tutto è stato riprodotto fedelmente. È un modo per raccontare la valle anche attraverso l’arte del fumetto, che amiamo molto e che portiamo avanti da anni anche con il nostro progetto “Pitoon – I Pitoti in Cartoon“.
Il fumetto, in fondo, è un linguaggio simile a quello delle incisioni rupestri. Sono proto-fumetti, ognuno può leggerli come vuole. L’arte, come la vita, è l’arte dell’incontro, come diceva Vinicius de Moraes. Ma anche un incontro “ad arte”, studiato, costruito con cura. È così che riusciamo ad andare avanti, con tante persone che ci sostengono e che ci comprendono profondamente.
Mi parlavi prima anche dei piccoli borghi. Cosa significa per voi portare il festival in paesi così piccoli, magari anche isolati?
È una delle cose che ci sta più a cuore. Abbiamo portato spettacoli in paesini come Paspardo, che ha solo 400 abitanti ed è a oltre 1.000 metri d’altitudine. Eppure la piazza, minuscola, si riempie. La gente partecipa con entusiasmo. Ci sono voluti 23 anni per ottenere la fiducia dei sindaci che all’inizio volevano scegliere loro gli artisti, ma con budget irrealistici. Ora invece ci ascoltano, ci rispettano, si fidano.
E poi c’è un ritorno, non solo culturale, ma anche economico. Il bar del paese, che di solito ha cinque clienti al giorno, durante il festival ne accoglie trenta. Certo, non parliamo di cifre enormi, ma è un movimento, una vitalità che altrimenti non ci sarebbe. È un modo per aprire la valle che per sua natura è chiusa tra le montagne e farla dialogare col mondo.
Il festival nasce anche con l’obiettivo di valorizzare il patrimonio millenario delle incisioni rupestri. Ma fuori dalla valle quanto è davvero conosciuto?
Purtroppo molto poco. Ti racconto un aneddoto: l’anno scorso ero a Ischia e ho rischiato di scivolare in piscina. Una signora tedesca mi ha aiutata e chiacchierando le ho detto che vengo dalla Valle Camonica. La sua risposta? “Ah, le incisioni rupestri!”. Mi sono stupita: lei, straniera, le conosceva. Eppure anche qui in valle molti non sanno di vivere sopra un patrimonio del genere.
Ma non ci sono solo le incisioni: la nostra è una valle ricchissima anche dal punto di vista naturale. C’è la Riserva della Biosfera, riconosciuta dall’UNESCO, e una flora incredibile, piena di piante officinali che un tempo i contadini sapevano raccogliere e usare. Vengono studiosi da tutto il mondo, ma manca ancora quel salto verso un pubblico più ampio. Il nostro compito è anche questo.
Chiudiamo con la musica: per il concerto finale dell’11 ottobre a Darfo Boario Terme avete scelto Davide Van De Sfroos. Come è nata questa scelta?
Davide è già stato nostro ospite diverse volte. È un amico, conosce bene la Valle ed è originario di una valle vicina. È stato anche premiato con la Targa Sciamano. La sua poetica, la sua musica, il suo modo di raccontare le persone e i luoghi lo rendono perfetto per rappresentare lo spirito del festival e anche quello di Sergio Staino, a cui è dedicata questa edizione.
di Federico Arduini
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