Danilo Di Paolonicola e l’Abruzzo che risuona nel presente
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il Maestro Danilo Di Paolonicola, guida dell’Orchestra Popolare del Saltarello, in occasione dell’uscita del disco “Abruzzo Vol. 2”
Danilo Di Paolonicola e l’Abruzzo che risuona nel presente
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il Maestro Danilo Di Paolonicola, guida dell’Orchestra Popolare del Saltarello, in occasione dell’uscita del disco “Abruzzo Vol. 2”
Danilo Di Paolonicola e l’Abruzzo che risuona nel presente
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il Maestro Danilo Di Paolonicola, guida dell’Orchestra Popolare del Saltarello, in occasione dell’uscita del disco “Abruzzo Vol. 2”
Domenica 7 dicembre 2025 l’Orchestra Popolare del Saltarello porterà sul palco dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone di Roma (Teatro Studio Borgna) “Abruzzo Vol. 2”, il nuovo capitolo del progetto dedicato alla tradizione musicale abruzzese. Un album che intreccia memoria, innovazione e identità, guidato dalla direzione artistica del Maestro Danilo Di Paolonicola, che continua a lavorare per rinnovare una cultura sonora antica senza snaturarla.
In occasione del concerto, abbiamo parlato proprio con lui: ne è nata una conversazione viva e appassionata, in cui si intrecciano radici famigliari, scelte musicali, collaborazioni sorprendenti e aneddoti di palco che raccontano lo spirito autentico dell’Orchestra.

Partiamo dal disco: questo è un Volume 2. Cosa c’è dentro? Cosa ritroviamo rispetto al primo capitolo?
Come hai detto tu, è la continuazione naturale del Volume 1. La forma del disco è simile: ci sono brani tradizionali, brani moderni… e poi una piccola chicca, la novità di questo secondo album. C’è un brano che non appartiene alla tradizione abruzzese: “Bella ciao”, realizzata in molte lingue diverse.
Perché questa scelta?
Il momento storico ce lo suggeriva. Durante la Resistenza molte basi partigiane erano proprio in Abruzzo: noi abruzzesi sentiamo “Bella ciao” molto vicina. Per questo abbiamo deciso di inserirla. E non solo: ho voluto riarrangiarla completamente, in una versione nuova e multilingue, per dare un messaggio di pace universale. C’è il wolof, che è un dialetto africano; c’è l’arberesh, lingua minoritaria albanese; c’è l’arabo, come omaggio alla Palestina; e poi voci recitanti in ucraino.
Veniamo al lavoro musicale che portate avanti da anni: far conoscere una tradizione secolare in un mondo che tende a dimenticare le radici.
Infatti il nostro lavoro è proprio quello: continuare a suonare questa musica. Ma non è facile attirare ascolto, quindi è importante rinnovarla un po’, secondo me.
E in che modo lavori su questa “modernizzazione”?
Inserisco la ritmica. La musica popolare tradizionalmente non prevede batteria, basso elettrico, certi inserti… Noi invece sì e questo dà una sonorità diversa. Poi ci sono arrangiamenti moderni: anche strumenti come organetto, fisarmonica e zampogne suonati con un approccio contemporaneo. Manteniamo il suono tradizionale, ma lo rendiamo capace di dialogare con la musica pop e a volte persino con la dance.

È bello anche il lavoro di riscrittura di alcune strutture.
Sì, in alcuni brani le strutture originali erano molto semplici. Abbiamo riscritto alcune parti, come le strofe, mantenendo la linea principale come ritornello.
So quanto avete lavorato negli anni e quante collaborazioni avete avuto, anche internazionali. Ricordo quella con Bregović: quando l’ho rivisto al Tenco ho subito pensato a voi.
È stato bellissimo. In questi giorni pensavo proprio che sarebbe bello rifare qualcosa insieme. Abbiamo inciso un brano e poi ognuno ha fatto il suo concerto, ma sarebbe incredibile fare un intero concerto con lui. È complicato, certo, ma mi piacerebbe molto.
E poi c’è anche la lunga collaborazione con Max Gazzè.
Sì, ormai sono tre anni. Il primo anno abbiamo fatto due concerti, poi l’estate intera l’anno scorso e anche quest’anno. L’estate prossima sicuramente si replica. Ma cerchiamo sempre nuove collaborazioni.
È un modo diverso di lavorare sulla tradizione: da un lato modernizzate i brani popolari, dall’altro portate il suono tradizionale dentro la musica d’autore.
Esatto. Con Max è stato divertentissimo: abbiamo riportato un po’ indietro la sua musica, pur mantenendo la modernità della ritmica. L’inserimento dei suoni tradizionali ha avuto un successo enorme: il pubblico impazziva. E Max ha inserito anche quattro brani abruzzesi nel concerto dando vita ad un’operazione importante per la nostra terra.

Mi ricordo anche quel video del concerto con il problema tecnico, quando siete scesi in platea a suonare in acustico…
Sì! Si era verificato un guasto all’impianto elettrico. Il concerto doveva essere all’aperto, poi per la pioggia è stato spostato in teatro, che era stupendo tra l’altro. A un certo punto l’audio ha smesso di funzionare, ma per noi non era un problema: siamo abituati a suonare anche in acustico.
È stato, secondo me, il momento più bello di tutto il tour. Il pubblico si aspettava lunghe pause ma noi abbiamo iniziato subito a suonare alcuni brani di Max in acustico, senza ritmica, proprio in stile tradizionale. E poi abbiamo fatto una quadriglia, dei saltarelli… tutta la platea ha ballato. È stato un momento eccezionale. Per noi è quasi la normalità, ma nessuno se lo aspettava.
di Federico Arduini
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- Tag: musica
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