Skip to main content
Scarica e leggi gratis su app

Dile racconta “Cantieri”: “Dalle piccole cose nascono amori autentici”

|

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Dile sul suo nuovo singolo “Cantieri”, sulla sua carriera e sul rapporto con i concerti

Dile

Dile racconta “Cantieri”: “Dalle piccole cose nascono amori autentici”

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Dile sul suo nuovo singolo “Cantieri”, sulla sua carriera e sul rapporto con i concerti

|

Dile racconta “Cantieri”: “Dalle piccole cose nascono amori autentici”

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Dile sul suo nuovo singolo “Cantieri”, sulla sua carriera e sul rapporto con i concerti

|

Dopo aver conquistato la rete con “Carnevale”, entrato nella Top 10 della “Viral 50 Italia” di Spotify e diventato uno dei brani più condivisi su TikTok, Dile torna con un nuovo singolo che sceglie una strada controcorrente.

Cantieri” è una ballad sospesa tra malinconia e dolcezza, dove il romanticismo non è lampo ma costruzione, pazienza, tempo condiviso. In un’epoca di amori veloci e musica usa e getta, il cantautore decide di rallentare e prendersi lo spazio per raccontare un sentimento che resiste, che cresce, che sa attraversare anche le fragilità.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui per parlare di questa scelta, di cosa guida la sua scrittura e di come un brano possa diventare colonna sonora di chi ama senza clamore, ma con presenza e costanza.

Com’è nata “Cantieri”?

“Cantieri” è nata dopo due album di canzoni tristi, storie di amori finiti male, incontri con persone difficili. Però non è una canzone che rimane su quella negatività: è nata con una piccola speranza, con la voglia di futuro, con la fede nell’amore che ho sempre incontrato nei libri, nei film, in tutto ciò che ha nutrito la mia crescita. È la convinzione che dalle cose minime – quelle che spesso non pesiamo, che sembrano insignificanti – possano nascere relazioni autentiche e durature. L’immagine del cantiere è centrale: è qualcosa che cresce, si costruisce, posa fondamenta per diventare reale. Allo stesso tempo è anche una cosa piccola, quasi noiosa. Ma in una coppia, a volte, è bello anche annoiarsi. È un’immagine contorta da spiegare ma, in fondo, molto semplice: è il lavoro quotidiano, il costruire insieme, pezzo dopo pezzo.


Immagino che questa canzone s’inserisca in un progetto più ampio

Assolutamente: tutto quello che sto pubblicando in questo periodo si raccoglierà in quello che sarà il mio terzo album, anche se in questo momento non sto pensando “sto scrivendo un album”, sto solo scrivendo. Poi si vedrà come tutto si comporrà. Per scaramanzia tengo alcune cose dentro, perché ho imparato che finché non è ufficiale – scritto, firmato, concreto – non si può dare nulla per scontato.

Sto costruendo il progetto attraverso i singoli, mattone dopo mattone, come in un cantiere. È una strategia più emotiva che discografica: per me ha senso raccontare le canzoni una per una, dar loro spazio e forma propria, perché con un raccoglitore tradizionale c’è il rischio che molte si perdano. È un modo per rispettarle, per farle arrivare con il giusto peso. Il mio obiettivo è farle vivere singolarmente e poi farle diventare parte di un tutto più grande.

Negli ultimi anni molti artisti hanno cambiato il loro approccio alla pubblicazione. Perché hai scelto di puntare sui singoli invece che subito su di un album intero?

Un giorno mi è arrivato un messaggio, del tipo “bellissimo l’album, quando esce musica nuova?”. Mi ha aperto gli occhi: ho capito che l’album è diventato più un’idea romantica che un punto di arrivo concreto per molte persone. Oggi si vive veloce, si consuma la musica come contenuto usa e getta. Io non giudico, è che i tempi sono cambiati: la fruizione è diversa e noi trentenni dobbiamo riadattarci e prenderci le misure.

Il mio modo per reagire è proprio questo: spacchettare l’album in singoli per dare a ciascuna canzone la propria attenzione. È una cosa che ho bisogno di fare anche egoisticamente, perché non riesco a buttare dentro un raccoglitore brani che poi forse non verranno ascoltati. Voglio che ogni pezzo abbia il suo spazio e la sua ragione.
E il pubblico non è solo digitale: quando qualcuno arriva a un live perché un amico gli ha detto “ascolta questo pezzo”, prende il biglietto, fa chilometri, ti vede, canta con te, a quel punto capisci che quello che stai facendo è condiviso e reale. Quella è la soddisfazione più grande. Sono emozionato a parlare di questo perché è il motivo per cui faccio musica: non è solo nella mia testa, è qualcosa che vive insieme ad altre persone.

A proposito di concerti, che ruolo hanno oggi i live per te e come li vivi rispetto al passato?

Il rapporto con i live oggi è “strano”, né bello né brutto: è semplicemente cambiato. Dobbiamo prenderci le misure, perché i tempi sono diversi. Io sento l’esigenza fortissima di portare quello che faccio dal vivo. Ho fatto due tour a distanza di un anno, il secondo senza nulla di nuovo in uscita, senza notiziabilità, semplicemente perché volevo suonare. E quelle serate, anche se non erano legate a un’uscita, hanno avuto un valore enorme. Abbiamo fatto quattro date, siamo andati anche a Bologna e Torino, e per me vince sempre la connessione con la gente: vedere chi canta le tue canzoni è il massimo. È quello che dà senso a tutto, più dei numeri, più degli ascolti o delle metriche. È il momento in cui il progetto diventa reale.

Com’è iniziato il tuo percorso musicale e come sei arrivato a diventare Dile?

Le origini sono strane, non so neanche quanti anni avessi, ma ho sempre avuto l’abitudine di scrivere. Forse ero un bambino “strano” agli occhi degli altri perché, mentre gli altri giocavano alla PlayStation, io buttavo su carta pensieri e parole. Mi vergognavo a mostrarli, quindi ho tenuto tutto per me per molto tempo. A un certo punto non mi bastava più scrivere: sono andato in un negozio di musica e ho comprato la chitarra più usata che c’era e una tastiera, senza sapere suonare. Ho iniziato a spostare quello che scrivevo su musica, mettendo le dita a caso, cercando.

Da lì è partito tutto. Ho pubblicato cose prima ancora di chiamarmi Dile, con nome e cognome. Non mi rappresentava: mi faceva sentire a disagio, quasi come se fossi chiamato solo dai professori. Da lì è nato il nome d’arte e poi il resto l’ha fatto la gente. Non c’è stata una grande strategia di marketing: c’è stato un passaparola, una comunità piccola ma fedele che ha sposato il progetto e l’ha diffuso. L’ho visto anche nei live: non è solo digitale, perché quando qualcuno ti consiglia a un amico, quel qualcuno compra il biglietto, fa un viaggio, viene a vederti. In quel momento senti che hai vinto tutto, perché il tuo lavoro non è solo nella tua testa, è condiviso. Quello è il senso di tutto.

di Federico Arduini

La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!

Leggi anche

09 Agosto 2025
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Andrea Petrucci sul suo nuovo singolo “Una notte eterna”…
09 Agosto 2025
Addio all’età di 82 anni a Ludovico Peregrini, noto al grande pubblico come il ‘Signor No’, figura…
09 Agosto 2025
Dopo le tempeste, i Black Keys tornano a fiorire con il nuovo disco “No Rain, No Flowers”
08 Agosto 2025
Il Premio Lunezia continua le celebrazioni del suo trentennale con tre appuntamenti speciali a ing…

Iscriviti alla newsletter de
La Ragione

Il meglio della settimana, scelto dalla redazione: articoli, video e podcast per rimanere sempre informato.

    LEGGI GRATIS La Ragione

    GUARDA i nostri video

    ASCOLTA i nostri podcast

    REGISTRATI / ACCEDI