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Disco Boy di Giacomo Abbruzzese conquista l’Orso d’argento

Disco Boy, il film in concorso alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Premio Kinéo ad Abbruzzese
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Disco Boy di Giacomo Abbruzzese conquista l’Orso d’argento

Disco Boy, il film in concorso alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Premio Kinéo ad Abbruzzese
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Disco Boy di Giacomo Abbruzzese conquista l’Orso d’argento

Disco Boy, il film in concorso alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Premio Kinéo ad Abbruzzese
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Disco Boy, il film in concorso alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Premio Kinéo ad Abbruzzese
“Perché a questo mondo c’è una cosa terribile, che ognuno ha le proprie ragioni”, scrisse Jean Renoir.  In un notturno tropicale, i movimenti levigati della steadicam accompagnano lo spettatore in un rifugio assopito. Le piante esotiche, di un verde intenso, fanno da cornice ad una composizione che ricorda le pitture ottocentesche; viene in mente Henri Rousseau. Il soggetto seminudo non è però la rinomata figura femminile lattiginosa, bensì, un corpo nero, mai ritratto con giustizia dalle pennellate ad olio. A questo silenzio lunare si contrappone bruscamente un paesaggio antitetico. Due ragazzi bielorussi sono in viaggio a ritmo di musica elettronica. Con un visto giornaliero per la Polonia, scelgono la via dell’acqua per raggiungere la Francia, promessa patria della libertà, uguaglianza e fratellanza. Hanno solo un materassino gonfiabile; un’immagine che cattura subito l’occhio per la sua originalità, entrando in collisione con l’ambiente circostante. La plastica colorata (in francese la parola plastique designa l’arte che elabora le forme) introduce l’estetica psichedelica/pop di cui fa uso l’universo filmico, fornendo un gioco di colori e sovrapposizioni inedito. Il silenzio della natura viene interrotto bruscamente dal frastuono di un motoscafo. Solo uno dei due riuscirà a mettere piede sul territorio francese. Ha inizio così Disco Boy, film vincitore dell’Orso d’argento alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Si tratta del lungometraggio d’esordio del regista sceneggiatore italiano Giacomo Abbruzzese, già affermatosi nel mondo dei festival con i suoi cortometraggi Archipel (vincitore a Torino come miglior corto nel 2010), Fireworks (miglior corto al Nastro d’argento nel 2013) e America (candidato al miglior cortometraggio documentario ai César nel 2022) e grazie a Disco Boy ha vinto anche il Premio Kinéo e GCHR per i Diritti Umani. Emigrato in Francia tredici anni fa, il regista affronta una tematica universale: le difficoltà dell’emigrazione. Dando voce alle minoranze, senza mai ricorrere a giudizi sulle loro azioni, si abbraccia un’umanità che non ha confini.  La Senna sfocia nel fiume Niger, dissolvendo le distanze geografiche, così come vengono annullate le frettolose distinzioni tra il bene e il male. “Volevo fare un film di guerra inusuale”, afferma Abbruzzese in conferenza stampa, “di solito viene messa in scena solo una prospettiva ma io avevo bisogno di entrambe. Ho cercato di raccontare dei personaggi complessi, non classificabili come buoni o cattivi.” Accanto a lui sono seduti gli interpreti del film, il protagonsita Franz Rogowski (già affermatissimo; ha lavorato con Haneke, Malick e lo abbiamo visto di recente in Freaks Out di Mainetti) e Morr Ndiaye, attore esordiente. In sala sono presenti anche l’interprete Laëtitia Ky (artista femminista ivoriana che crea vere e proprie sculture dalle acconciature di capelli) che, con un’eleganza particolare indossa la sua arte, una treccia forma tre cerchi intorno al suo volto, una sorta di aureola; la direttrice della fotografia Hélène Louvart; il coreografo Qudus Onikelu e il disc jockey Vitalic, che con la sua musica dirompente ha saputo creare un’atmosfera cadenzata dall’inquietudine.   Nessun attore ha recitato nella sua lingua natìa; era importante per me mostrare come le minoranze possano impadronirsi dell’idioma del paese che li ospita, in qualche modo rendendolo proprio”, commenta il regista. Polacco, russo, francese, inglese e dialetti nigeriani si mescolano nella sceneggiatura dando voce ad un multilinguismo che rispecchia le pluralità ideologiche messe in scena.  Con parentesi psichedeliche e astratte vediamo le due facce di una guerra. Da una parte la Legione straniera, dove il protagonista si formerà per rimediare all’emigrazione clandestina; dall’altra il gruppo MEND (Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger). I due mondi si scontreranno a ritmo della disco music per conciliarsi in un ballo che sfonda la barriera dello schermo.  “Ho dovuto rifiutare più volte la proposta di Giacomo”, confessa Rogowski, “non c’erano i finanziamenti e mi sembrava un progetto rischioso. Alla fine, però, quando si sono trovati un po’ di soldi, anche se non erano abbastanza per l’impresa del film, non c’è stato verso, non ho potuto rifiutare. Giacomo sa essere una persona molto testarda”, conclude sorridendo.  Le performance commuovono in questo lungometraggio dal respiro di un corto; i titoli di coda sono l’ennesimo schiaffo che, questa volta ci risveglia nostro malgrado: Aleksei, il protagonista ribelle in cerca di identità è già nei nostri cuori.  Di Valentina Vignoli (da Berlino)

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