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La docuserie Netflix su Yara e il dolore che “fa bene”

Il successo della nuova docuserie true crime Netflix “Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio” parla più di noi che di questa triste vicenda di cronaca

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La docuserie Netflix su Yara e il dolore che “fa bene”

Il successo della nuova docuserie true crime Netflix “Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio” parla più di noi che di questa triste vicenda di cronaca

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La docuserie Netflix su Yara e il dolore che “fa bene”

Il successo della nuova docuserie true crime Netflix “Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio” parla più di noi che di questa triste vicenda di cronaca

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Il successo della nuova docuserie true crime Netflix “Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio” parla più di noi che di questa triste vicenda di cronaca

Le serie true crime funzionano e, anzi, sembrano essere le poche eccezioni in un panorama di offerte ormai stagnanti dellepiattaforme home-video.

Per questo, non stupisce l’ottimo riscontro a soli pochi giorni dall’uscita dalla docuserie Netflix “Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio” dell’ideatore Gianluca Neri (già al comando dell’altra seguita e chiacchierata docuserie SanPa-Luci e tenebre di San Patrignano).

La storia è nota: il delitto della giovane ginnasta tredicenne Yara Gambirasio, scomparsa a Brembate di Sopra (in provincia di Bergamo) nel 2010 e ritrovata morta il 26 febbraio 2011. Una morte violenta oscurata da un iter giudiziario controverso e unico nella storia italiana: la mappatura estesa del DNA condotta sulla popolazione locale (circa 25.700 persone) che ha portato all’arresto dell’operaio edile Massimo Bossetti e alla successiva condanna all’ergastolo il 12 ottobre 2018.

Tra complotti e sospetti, la storia di Yara è arrivata a tutti noi sulla scia del bombardamento mediatico che fa da contesto a tutta la serie Netflix, costituita da 5 episodi. Attraverso contenuti inediti, come le intercettazioni colme di dolore di mamma Maura e papà Fulvio e le registrazioni degli incontri tra Bossetti e la moglie Marita, lo spettatore viene accompagnato con la mano in una storia orribile che però risulta quasi familiare.

Prodotti come questo raccontano molto più di noi che della storia in sé e confermano questa linea sottile (spesso travalicata) tra privacy e apologia del dolore. Non ci stancheremo mai di domandarci quale strano gioco sadico ci porti ad adorare storie di sofferenza altrui. Primo Levi, già tempo fa, la definì catarsi.

di Raffaela Mercurio

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