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“Elio”, un’odissea cosmica

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Con “Elio”, la Pixar firma il suo film più politico. Un’odissea cosmica che abbraccia l’intero spettro emotivo dell’esistenza, dalla solitudine alla scoperta, dal trauma alla tenerezza

Elio

“Elio”, un’odissea cosmica

Con “Elio”, la Pixar firma il suo film più politico. Un’odissea cosmica che abbraccia l’intero spettro emotivo dell’esistenza, dalla solitudine alla scoperta, dal trauma alla tenerezza

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“Elio”, un’odissea cosmica

Con “Elio”, la Pixar firma il suo film più politico. Un’odissea cosmica che abbraccia l’intero spettro emotivo dell’esistenza, dalla solitudine alla scoperta, dal trauma alla tenerezza

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“Ok, ciao, love you.” È così che, secondo la Pixar, oggi gli abitanti della Terra si presentano all’universo. Anzi, al Comuniverso: un’organizzazione interplanetaria con rappresentanti di galassie lontane che convivono in pace. Con “Elio”, la Pixar firma il suo film più politico. Un’odissea cosmica che abbraccia l’intero spettro emotivo dell’esistenza, dalla solitudine alla scoperta, dal trauma alla tenerezza.

Elio Solís ha 11 anni e un occhio coperto da una benda. Vive in California, ma ha il cuore che batte altrove. Si sente solo, incompreso, quasi invisibile. Dopo la morte dei genitori astronauti, vive con la zia Olga, brillante maggiore dell’Aeronautica militare che lo cresce con tutto l’amore e la dedizione di una madre. Ma Olga vorrebbe che Elio smettesse di sognare lo spazio. Lui, invece, lancia un messaggio all’universo e viene teletrasportato per errore nel Comuniverso, dove viene scambiato per il leader della Terra. La Pixar ribalta così la classica fantasia del rapimento alieno. Qui è Elio a scegliere di essere “preso”, trasformando l’avventura in un romanzo di formazione intimo e surreale.

A fare da contraltare drammatico è Lord Grigon, signore della guerra respinto proprio dal Comuniverso. È irascibile, ossessivo, emblema di ogni totalitarismo contemporaneo. Ma, con astuzia narrativa, non incarna un leader preciso: è un simbolo, un’ombra archetipica della violenza patriarcale e autoritaria. Odia persino le risate del figlio, Glordon, una creatura gentile e pacifica che rifiuta la guerra. Lui è il figlio che non vuole combattere, ma si trova sotto la minaccia schiacciante del padre, un’autorità potente da cui si fugge o a cui si soccombe.

In questo, in effetti, Glordon può ricordare un oculista che da Damasco era andato a vivere a Londra, disinteressato alla politica, ma richiamato dal padre per governare il Paese. Glordon rifiuta l’armatura da guerra e dichiara, in una delle frasi chiave dell’opera: «Non voglio diventare una macchina da guerra». È uno dei messaggi evidenti: la mascolinità come armatura da togliere. Nessun conflitto produce veri vincitori.

“Elio” affronta temi di stretta attualità: guerra e pace, Terra e spazio, solitudine, identità e appartenenza. Non è un caso che la voce originale di Elio sia di Yonas Kibreab, piccolo attore statunitense di origini filippine. E quella di zia Olga sia di Zoe Saldana, celebre attrice americana con origini dominicane e portoricane.

La regia di Madeline Sharafian, Domee Shi e Adrian Molina unisce sensibilità diverse ma complementari, dando forma a un’opera che oscilla tra introspezione, immaginazione e umorismo sottile. Il loro sguardo condiviso dà vita a un’estetica a doppio registro. La Terra è fatta di linee geometriche e severe, toni freddi e simmetrici, riflesso visivo del solipsismo di Elio. Lo spazio invece è un’esplosione di colori prismatici, forme organiche ispirate a funghi, cristalli e creature microscopiche. Un luogo liquido e vivace, dove l’alieno non è più una versione deformata dell’umano, ma un’autentica alterità.

Tra le righe si legge l’amore per i film di fantascienza degli anni ’80-’90 — da Spielberg a Carpenter — filtrato dalla sensibilità contemporanea e tradotto in nostalgia e innovazione, tra ecosistemi intergalattici e ferite terrestri ancora aperte. Il nome stesso del protagonista è un gioco semantico: il Sole, fonte di vita ma simbolo di solitudine. E si viaggia tra questi poli, in un equilibrio che non teme la complessità.

La colonna sonora di Rob Simonsen è un’immersione nell’invisibile, tra sintetizzatori analogici, cori alieni e melodie emozionanti e sperimentali. “Elio” non è solo un film su pianeti lontani e creature meravigliosamente diverse. È un viaggio che riguarda tutti da vicino, perché parla della voglia di essere visti, capiti, accolti. Il contatto è possibile, anche tra esseri lontanissimi, anche quando le parole mancano. A volte basta un segnale lanciato nel vuoto – un “Ok, ciao, love you” – e pensare che qualcuno da qualche parte forse è in ascolto. Cantavano i Bluvertigo: «È praticamente ovvio che esistano altre forme di vita», ma le più difficili da accettare e tenere strette a volte sono proprio quelle che già conosciamo: noi, l’un l’altro.

Di Edoardo Iacolucci

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