En?gma: “Tèmpora è il mio nuovo inizio”
Con “Tèmpora“, il suo nuovo album, En?gma torna al centro della scena con un lavoro che scandaglia il tempo in tutte le sue forme
En?gma: “Tèmpora è il mio nuovo inizio”
Con “Tèmpora“, il suo nuovo album, En?gma torna al centro della scena con un lavoro che scandaglia il tempo in tutte le sue forme
En?gma: “Tèmpora è il mio nuovo inizio”
Con “Tèmpora“, il suo nuovo album, En?gma torna al centro della scena con un lavoro che scandaglia il tempo in tutte le sue forme
Con “Tèmpora“, il suo nuovo album, En?gma torna al centro della scena con un lavoro che scandaglia il tempo in tutte le sue forme: lo smarrimento, le attese, le nostalgie, ma anche la spinta a rimettere ordine nel caos interiore. Anticipato dai singoli “Old Trafford” e “Due Tute”, il disco segna un ulteriore passo nella maturità artistica del rapper sardo, capace come pochi di intrecciare introspezione, visione e ricerca sonora.
In “Tèmpora” si percepisce il peso degli anni che scorrono e la lucidità con cui En?gma osserva sé stesso e ciò che gli sta intorno, trasformando la sua esperienza in un racconto universale. “Mi ha scosso la musica”, ha dichiarato, raccontando un periodo di attese e porte chiuse che si sono rivelate fondamentali per aprirne di nuove.
Lo abbiamo incontrato per farci raccontare nascita, visioni e retroscena di un progetto che segna l’inizio di un nuovo capitolo.

Partiamo dall’inizio: com’è nata l’idea di “Tèmpora” e del titolo?
Il disco raccoglie gli ultimi due-tre anni. È arrivato dopo l’Ep “KloaKa“, uscito a gennaio: molti brani sono stati composti nello stesso periodo e ho scelto di dividerli per coerenza musicale. Quello che non è entrato in “Kloaka” è diventato “Tèmpora“, con aggiunte dell’ultimo momento. Racchiude un anno intero: gennaio con l’Ep, dicembre con “Tèmpora“. Il titolo inizialmente era un altro, sempre legato al tempo, ma alla fine abbiamo scelto una parola sola, come ho fatto spesso nei miei progetti. “Tèmpora” racchiude emozioni, ricordi, nostalgia propositiva. Passato e futuro intrecciati.
Nel comunicato si parlava di un periodo in cui eri stato fermo dal punto di vista creativo. Cos’è successo?
In realtà sono stato poco fermo nella mia carriera: mi sono sempre autostimolato. Nei nove anni da indipendente mi davo io i tempi e preferivo uscire spesso. Nel post-Covid è uscito Totem (2021), un progetto molto corposo. Poi ho tirato un po’ il freno: un periodo di riflessione, anche personale. Dopo quello “stallo”, però, c’è stato lo sblocco e le canzoni hanno iniziato ad accumularsi, ma in modo ragionato, consapevole. Da lì è nato il disco.
Parliamo di “Due tute”: un brano che racconta l’attesa, a volte dolorosa. Da dove nasce?
Molte cose che racconto non nascono solo da esperienze mie, ma dall’osservazione. Mi considero un osservatore: attingo a vissuti miei e di persone vicine. “Due tute” parla della frenesia dei rapporti fugaci: anche quando le cose non succedono, l’attesa può ferire. È un tema generale. Lo stesso accade in “Nebbia & Caffé ”, dove personifico un barista che vede storie scorrere in un non-luogo temporale. Racconto ciò che osservo.
Secondo te oggi siamo meno abituati ad aspettare?
Sì. Viviamo tutto nell’ansia sociale del “non c’è tempo”. È come se tutto dovesse essere consumato velocemente, anche le emozioni. Non abbiamo più modo di gustare le cose con calma. In musica è evidente: tutto è accelerato.
Sul piano sonoro, “Tèmpora” ha molte anime. Come hai lavorato agli arrangiamenti?
Per la prima volta ho usato due processi diversi. Alcuni brani, come “Old Trafford“, li ho scritti su strumentali che mi ispiravano. Altri sono nati al contrario: prima scrittura e poi produzione in studio. Abbiamo trovato il “vestito” giusto partendo dai miei testi. Non avevo mai lavorato così. È stato stimolante. Anche la copertina è un unicum: uno scatto diretto, rispetto ai lavori illustrati di prima. E poi i featuring: non avevo mai collaborato così. Insomma, ho voluto cambiare metodo.
Vivere in Sardegna, lontano da Milano, ha influenzato questo percorso?
Sì, ma è stata una scelta consapevole. Milano l’ho vissuta da studente e poi da artista, dal 2007 in avanti. A un certo punto però sentivo di perdere autenticità e rapporti genuini. Tornare in Sardegna mi ha rimesso a fuoco: lì è esplosa la mia creatività e ho vissuto il periodo più prolifico. È vero che in città come Milano si creano più sinergie, ma ho preferito la qualità dei rapporti umani. E continuo a fare bei dischi: per me “va bene così”.
Hai iniziato in un momento in cui il rap non era il fenomeno mainstream che è oggi. Come vedi la nuova generazione?
Il genere si è evoluto tantissimo, si è sparso ovunque ed è entrato nella cultura italiana. Oggi quasi è il “nuovo pop”. Ai miei inizi eravamo considerati qualcosa di strano. Ora è normalità: a Sanremo cercano il rapper, i ragazzi escono già con quell’attitudine. Io ormai sono nella cosiddetta “mid school”: non vecchia scuola, ma nemmeno nuova. C’è grande offerta, molta varietà, non sempre qualità eccelsa, ma è fisiologico quando un genere cresce così tanto. E come tutto, avrà fasi di espansione e di cambiamento. È il ciclo naturale della musica.
di Federico Arduini
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- Tag: musica
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