Equipe 84 e Lucio Battisti, “Emozioni garantite”
“Rifacevo Battisti e scoprivo nuove emozioni”, racconta Maurizio Vandelli, storica voce dell’Equipe 84. In questa intervista ripercorre momenti che ha vissuto in prima persona, perle che hanno fatto la storia della musica e della cultura italiana, parlandoci del suo nuovo libro “Emozioni garantite”.
Equipe 84 e Lucio Battisti, “Emozioni garantite”
“Rifacevo Battisti e scoprivo nuove emozioni”, racconta Maurizio Vandelli, storica voce dell’Equipe 84. In questa intervista ripercorre momenti che ha vissuto in prima persona, perle che hanno fatto la storia della musica e della cultura italiana, parlandoci del suo nuovo libro “Emozioni garantite”.
Equipe 84 e Lucio Battisti, “Emozioni garantite”
“Rifacevo Battisti e scoprivo nuove emozioni”, racconta Maurizio Vandelli, storica voce dell’Equipe 84. In questa intervista ripercorre momenti che ha vissuto in prima persona, perle che hanno fatto la storia della musica e della cultura italiana, parlandoci del suo nuovo libro “Emozioni garantite”.
“Rifacevo Battisti e scoprivo nuove emozioni”, racconta Maurizio Vandelli, storica voce dell’Equipe 84. In questa intervista ripercorre momenti che ha vissuto in prima persona, perle che hanno fatto la storia della musica e della cultura italiana, parlandoci del suo nuovo libro “Emozioni garantite”.
Maurizio Vandelli ripercorre gli anni della sua vita ruggente, gli anni del beat italiano di cui con il suo gruppo, l’Equipe 84, è stato il rappresentante più leggendario. E lo fa con il libro “Emozioni garantite”, che si avvale della penna felice di Massimo Cotto ed è corredato da due Cd: uno con l’interpretazione delle canzoni più famose e indimenticabili di Lucio Battisti; l’altro con le relative basi musicali per dare a tutti la possibilità di cantare quegli inni della nostalgia, della felicità di un tempo trascorso. Mai passato.
«Due anni fa – ci racconta Vandelli – eravamo reclusi in casa, le mascherine a coprirci il viso, gli sguardi pieni di paura e di tristezza, le file ai supermercati col terrore di contrarre un virus sconosciuto e implacabile. A casa cercavo di esorcizzare la pesantezza di quella desolante reclusione facendo il buffone con i miei famigliari, giusto per tenerci un po’ su o rifugiandomi nel mio studio a suonare. Rifacevo Battisti e scoprivo nuove emozioni, riscoprivo lo stupore che ancora oggi quelle canzoni suscitano. Ho ritrovato la bellezza della musica di Lucio e dei testi di Mogol. Giulio non scriveva canzoni, ma sceneggiature da film. Le immagini che riusciva a creare ti davano la sensazione che tu diventassi protagonista di una storia. La coppia Battisti-Mogol è stata il capolavoro italiano di quegli anni. Così ritrovavo un po’ di serenità in quel mare magnum di depressione che ancora oggi aleggia sui nostri destini. Ci sono la guerra e lo spettro dell’inflazione impazzita, delle bollette incontrollabili. Una situazione in cui sento di odiare i politici sempre più, per i loro guadagni, per le loro chiacchiere vane mentre la gente ha bisogno di soluzioni».
È nel ripercorrere gli episodi della sua vita che Vandelli ritrova la gioia di un’emozione pura, quasi bambina. «Nel libro racconto decine di aneddoti che hanno scolpito il mio percorso di uomo e musicista. Metà anni Quaranta. Mamma è al torrente Secchia vicino a Formigine, dove sono nato e vivo con i miei genitori. Le si avvicina un carretto, un uomo urla “La guerra è finita!”. È mio babbo. Mia mamma gli corre incontro e in quel momento le campane di tutti i paesi intorno incominciano a suonare. I due si abbracciano, i piedi nell’acqua, il cuore in gola».
Vandelli sembra quasi voler dipingere un quadro scenografico di un film di Pupi Avati. Poi la memoria fa un balzo di oltre vent’anni. «Milano, due di notte. Sono stanco morto. Mi telefona Victor Sogliani, il bassista dell’Equipe 84. “Oh, guarda che a casa mia c’è Jimi Hendrix”. Alla x di Hendrix sono già in auto. Un incontro con il mio mito, una persona dolce e disponibile, completamente diversa dall’immagine che rappresenta sul palco quando incendia le chitarre». E ancora: «Londra, sono allo Speakeasy, uno dei locali frequentati dai Beatles e dai Rolling Stones. C’è un angolo privato con un nugolo di musicisti, le chitarre, i primi accordi. Nasce una jam session spontanea, interrotta a un certo punto dai versi sguaiati e stonati di una voce femminile. Monto su tutte le furie, mi rivolgo alla mia sinistra, c’è John Lennon. Gli chiedo chi sia quella… preferisco non riferire l’epiteto. Diciamo che non è elegante. E lui: è mia moglie Yoko Ono. Non ho più parlato».
Gli chiediamo del rapporto con Lucio Battisti. «Nel libro racconto il nostro primo incontro a Sanremo, racconto di quando lo porto in Ricordi dal papà di Mogol Mariano Rapetti che gli fa firmare il contratto come autore. Ricordo un suo complimento: “Maurì, ho imparato a cantare da te… però ho corretto i tuoi errori”». I racconti fluttuano tra il retaggio della memoria e la decomposizione di un tempo fatto di utopie che si realizzavano, di musica che ha cavalcato il tempo, senza mai disperdersi nella banalità dell’usa e getta. «Ricordo quando Lucio mi canta “29 settembre” per la prima volta. Renzo Arbore, molto tempo dopo, mi dirà che quella canzone mette la parola fine al beat. Non so se sia un pezzo che segna un punto di snodo tra il beat e ciò che verrà dopo. Di sicuro apre una porta verso il domani». Sente di aver corretto i suoi errori? «L’ho scritto nel libro, nella dedica a Lucio: spero, cantando te, di esserci finalmente riuscito…».
di Fabio Santini
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