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L’esorcista, cinquant’anni fa il film più spaventoso di sempre

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Se qualcuno vi racconterà di aver visto il film “L’esorcista” e di aver trascorso poi una notte tranquilla, sappiatelo: quel tizio è un bugiardo

L’esorcista, cinquant’anni fa il film più spaventoso di sempre

Se qualcuno vi racconterà di aver visto il film “L’esorcista” e di aver trascorso poi una notte tranquilla, sappiatelo: quel tizio è un bugiardo
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L’esorcista, cinquant’anni fa il film più spaventoso di sempre

Se qualcuno vi racconterà di aver visto il film “L’esorcista” e di aver trascorso poi una notte tranquilla, sappiatelo: quel tizio è un bugiardo
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Se qualcuno vi racconterà di aver visto il film “L’esorcista” e di aver trascorso poi una notte tranquilla, sappiatelo: quel tizio è un bugiardo. Compie 50 anni il film più spaventoso di sempre e qualsiasi tentativo di dimostrare il contrario non risulterà credibile. Al fondo un’idea semplicemente potente: il male nasce e cova dentro, non fuori, di noi. Puoi mettere su celluloide zombie, vampiri, creature deformi, mostri lagunari, zampilli di sangue, assassini seriali, le peggiori esterne avversità, ma niente di tutto ciò supererà in orrore la forza spaventosa dell’ignoto che s’impossessa del corpo e dell’anima. Sono questi la chimica, l’archetipo e la suggestione che hanno reso il film diretto da William Friedkin un capolavoro assoluto.

“L’esorcista” è tratto da un celebre romanzo di William Peter Blatty a sua volta ispirato a una storia vera pubblicata dal “Washington Post” nell’agosto del 1949. Nel film una dodicenne (l’attrice Linda Blair) viene investita da singolari fenomeni che la scienza confina subito nell’alveo della psichiatria, mentre avanza, inesorabile, la verità ultraterrena di un demonio (Pazuzu) che – tra fiato gelato, spasmi articolari, conati di vomito verdastro, spaventose levitazioni e dolorose sevizie inferte alla sua vittima – tesse la sua trama infernale di rappresentazione del suo immondo e subdolo potere. Il mantra pianistico tratto dalla suite “Tubular Bells” di Mike Oldfield – poche note in loop, quasi uno sconsacrato e circolare rosario di note gelide che fa subito colare un brivido sulla schiena – così come l’atmosfera cupa di Georgetown, la sterilità affettiva di una famiglia di artisti, sacerdoti fragili e l’eterna lotta tra sacro (che, ovunque, protegge) e profano (che allontana dalla salvezza) rendono il tutto così terribilmente possibile.

Lo spettatore medio torna a casa con la sensazione di non essere più estraneo a una possessione imminente e prima di andare a dormire si guarda intorno, chiude meglio la porta, controlla sotto le lenzuola, sussulta a ogni piccolo rumore, lascia la luce accesa un po’ più a lungo del solito. Ma sa già che è tutto inutile. Perché è la paura che fa più paura. Perché l’incubo non sta fuori ma può materializzarsi dentro, da un momento all’altro. E il demonio può avere la forma di un suono, di uno scricchiolio, si può materializzare nelle paralisi notturne e nel pavor nocturnus oppure può essere un pensiero ossessivo. Ecco la forza, davvero profonda, di questo film.

E poi gli strascichi inevitabili in ogni storia maledetta: nove persone legate, direttamente o indirettamente, a “L’esorcista” morirono durante le riprese. Jack MacGowran, uno degli attori il cui personaggio muore nel film, morirà un mese prima dell’uscita della pellicola nelle sale. La rivista “American Hollywood” scrisse che a Roma, nei pressi del Cinema Metropolitan, durante la proiezione del film una croce alta oltre due metri si staccò da una chiesa lì vicina frantumandosi a terra. Buona visione.

di McGraffio

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