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“Far vincere la vita anche in guerra”, parla Rizzi di Soleterre

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Il 14 dicembre nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano andrà in scena il concerto “Magnificat”, il cui ricavato sosterrà i programmi di supporto oncologico in Palestina e in Ucraina

“Far vincere la vita anche in guerra”, parla Rizzi di Soleterre

Il 14 dicembre nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano andrà in scena il concerto “Magnificat”, il cui ricavato sosterrà i programmi di supporto oncologico in Palestina e in Ucraina

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“Far vincere la vita anche in guerra”, parla Rizzi di Soleterre

Il 14 dicembre nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano andrà in scena il concerto “Magnificat”, il cui ricavato sosterrà i programmi di supporto oncologico in Palestina e in Ucraina

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“Il Beit Jala Hospital è oggi l’unico ospedale pubblico della Palestina ancora in grado di curare bambini malati di cancro”, a raccontarci la situazione attuale in Medio Oriente è Damiano Rizzi, psicologo e presidente di Soleterre, che da due anni lavora all’interno dell’ospedale in condizioni critiche.

“I farmaci arrivano in modo intermittente, – continua Rizzi – quindi dobbiamo fare ampie scorte, le strutture sono fragili e accogliamo pazienti anche da altri ospedali della Cisgiordania, perché Beit Jala è l’unico centro che dispone delle chemioterapie. Le acquistiamo noi, Soleterre, nei periodi — sempre più frequenti — in cui il Ministero della Salute non riesce a fornirle”.

Nonostante le difficoltà e la guerra, Soleterre non solo continua il suo operato ma ha anche deciso di organizzare un concerto dal titolo “Magnificat”, il cui ricavato sosterrà i programmi di supporto oncologico in Palestina e in Ucraina. L’evento si terrà il 14 dicembre nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano, dove diversi musicisti metteranno la loro voce al servizio dei bambini malati di cancro che vivono in guerra. Il ricavato permetterà di acquistare farmaci chemioterapici, offrire sostegno psicologico, garantire attrezzature essenziali, trasferire i piccoli pazienti in luoghi sicuri e rafforzare le equipe locali che ogni giorno resistono alla crisi.

“Per una sera, la musica farà ciò che dovrebbe fare sempre la politica: proteggere la vita – continua Damiano Rizzi – Questo concerto esiste grazie alla scelta generosa di Mieko e Ilaria, che hanno rinunciato ai regali di nozze per trasformare il loro giorno speciale in un aiuto concreto ai bambini malati di cancro in Palestina e in Ucraina, attraverso la donazione legata al biglietto. Due persone che insieme a noi vi invitano a partecipare per fare vincere la vita. Anche in guerra”.

Le notizie dalla Striscia di Gaza sono drammatiche: “Non è più possibile curare i bambini malati di tumore. – spiega il presidente – L’unico reparto oncologico pediatrico è stato distrutto dall’esercito israeliano. Senza corridoi umanitari e senza la possibilità di trasferire i piccoli pazienti verso la Cisgiordania, le cure diventano semplicemente impossibili”. Ed è per questo che il presidente di Soleterre lancia un appello più che necessario, ovvero, l’urgenza di avere dei corridoi umanitari sanitari immediati per permettere ai bambini di Gaza di essere curati al Beit Jala Hospital in Cisgiordania. “Perché anche in guerra, il diritto alla cura non può essere sospeso”, continua Rizzi.

Come si svolge il vostro lavoro all’interno dell’ospedale?

“Il nostro lavoro ha un obiettivo semplice e radicale: garantire continuità di cura anche in guerra.
Portiamo chemioterapie, supporto clinico, attrezzature essenziali. Siamo accanto ai medici palestinesi: li affianchiamo, li formiamo, li sosteniamo nella gestione di emergenze.

Al Beit Jala Hospital abbiamo inserito anche una psico-oncologa, la dott.ssa Farah Fatafta, che lavora ogni giorno con i piccoli pazienti e con le loro famiglie. Aiuta i bambini a dare un nome alla paura, al dolore, alla perdita; aiuta i genitori che spesso arrivano già traumatizzati dall’occupazione militare e devono affrontare le cure dei figli.

In guerra, la psicologia non è un “di più”: è parte integrante della sopravvivenza.
Perché un bambino non guarisce solo con i farmaci. Ha bisogno anche di qualcuno che lo tenga dentro una relazione sicura mentre tutto attorno crolla”.

Da quanto tempo siete a Gaza?

“Nella Striscia di Gaza, i nostri programmi pediatrici e psicologici sono attivi da cinque mesi, attraverso partner locali e professionisti formati sul territorio. Ci occupiamo della distribuzione di cibo e beni di prima necessità, e garantiamo supporto psicologico ai bambini ricoverati nella pediatria del Nasser Hospital di Gaza, uno degli ultimi ospedali ancora parzialmente funzionanti”.

Vi è mai capitato di curare un soldato di Hamas?

“No. Mai. Noi curiamo bambini malati di cancro. Il nostro lavoro riguarda esclusivamente l’infanzia e le loro famiglie. Non abbiamo mai curato combattenti né membri di gruppi armati. La nostra missione è proteggere la vita dei più vulnerabili, i bambini, sempre e ovunque”.

Qual è la differenza tra il lavoro che svolgete a Gaza e quello in Ucraina?

“L’Ucraina è uno Stato indipendente aggredito. Gli ospedali faticano moltissimo, ma esistono corridoi sanitari, trasporti protetti, la possibilità di spostare un bambino da una città bombardata a una struttura sicura. La rete sanitaria, pur sotto attacco, continua a funzionare. A Gaza questo è impossibile.
Gaza è una prigione sotto controllo israeliano, con confini chiusi, ospedali distrutti e reparti oncologici inesistenti. I bambini non possono uscire, non possono essere trasferiti, non possono accedere alle cure salvavita. Noi curiamo i bambini palestinesi solo al Beit Jala Hospital in Cisgiordania.
Lo stesso tumore che in Europa o in Ucraina si cura, a Gaza può diventare letale solo perché le cure non sono raggiungibili”.

Di Claudia Burgio

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