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Federico Paciotti racconta “Cuore in polvere”

Federico Paciotti, ex voce dei Gazosa, è oggi concentrato sui suoi progetti che spaziano dall’amore per il canto lirico al rock

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Federico Paciotti racconta “Cuore in polvere”

Federico Paciotti, ex voce dei Gazosa, è oggi concentrato sui suoi progetti che spaziano dall’amore per il canto lirico al rock

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Federico Paciotti racconta “Cuore in polvere”

Federico Paciotti, ex voce dei Gazosa, è oggi concentrato sui suoi progetti che spaziano dall’amore per il canto lirico al rock

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Federico Paciotti, ex voce dei Gazosa, è oggi concentrato sui suoi progetti che spaziano dall’amore per il canto lirico al rock

Nel mare magnum della musica liquida sembrerebbe cosa facile trovare qualcosa di nuovo e interessante da ascoltare. Invece, non è propriamente così. Ogni tanto ci divertiamo a scavare per voi in questo universo in continua espansione per trovare artisti di valore, che meritano un ascolto attento. Poi starà all’ascoltatore scegliere se seguire l’artista in questione o veleggiare verso altri lidi.

Federico Paciotti è un artista poliedrico, spinto da sempre dalla volontà di fondere due mondi apparentemente distanti ma in realtà più vicini di quanto si possa pensare: il rock con il canto lirico. Fin da bambino ha coltivato questa visione unica, avviando la sua carriera musicale a soli 13 anni con la pop band Gazosa, con cui ha vinto il Festival di Sanremo 2001 nella categoria “Nuove Proposte”. Diplomato in canto lirico presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma, ha collaborato con rinomate orchestre e maestri, tra cui la Tokyo Philharmonic Orchestra e Rolando Nicolosi. Nel 2015 torna al Festival di Sanremo eseguendo due capolavori di Giacomo Puccini: “E Lucevan le Stelle” e una versione strumentale per chitarra di “Nessun Dorma”.

È uscito qualche giorno fa il suo nuovo singolo “Cuore in polvere”, scritto e composto da Morgan e registrato in presa diretta con l’orchestra “LA TOSCANINI NEXT“, diretta dal Maestro Tiziano PopoliIl brano vanta anche la produzione di HOWIE B, che ha prodotto i dischi di artisti come Björk, U2, Tricky, Brian Eno e Sinead O’Connor. Quale occasione migliore per scambiare quattro chiacchiere con Paciotti, per conoscere l’origine di questo brano e sapere di più circa questa nuova fase del suo percorso artistico.

Com’è nato “Cuore in povere”?

Cuore in polvere nasce da un momento molto particolare. Morgan me la inviò su WhatsApp. Con lui avevo già avuto modo di conoscermi brevemente da ragazzo, durante il mio primo Sanremo. Successivamente, però, abbiamo approfondito il nostro rapporto musicale nel 2015, durante una bellissima tournée dedicata a La Dolce Vita, insieme a Beppe Servillo e diretti da Mercurio. In quell’occasione cantavamo le grandi colonne sonore del cinema italiano, ed è stato lì che abbiamo iniziato a scambiarci idee e confrontarci sulla musica.

Negli anni siamo rimasti in contatto, inviandoci ogni tanto dei messaggi: io gli mandavo brani composti da me e lui mi inviava le sue creazioni. Quando stavo lavorando alle prime fasi di costruzione del mio album, Morgan mi mandò “Cuore in polvere”. Rimasi subito colpito, sia dalla musica che dal testo. Quest’ultimo affronta il tema della perdita, un’esperienza che può riguardare diversi ambiti della vita: la perdita di un genitore, di un grande amico, di un fratello o di un amore. Mi ci sono ritrovato profondamente.

La fusione tra la parte classica e quella pop presente nel brano mi ha conquistato, e ho voluto mantenerne intatta l’essenza. Il brano, così come tutto l’album che uscirà prossimamente, è stato registrato in presa diretta, un’esperienza unica che gli ha dato un’intensità speciale. Per questo pezzo, poi, abbiamo avuto l’onore di collaborare con uno dei più grandi produttori al mondo, che ha lavorato con artisti del calibro degli U2 e di Björk.

È stata un’esperienza straordinaria: non solo per l’emozione di interpretare un brano che trovo meraviglioso, ma anche per l’opportunità di lavorare con un team di così alto livello. Un mix di coincidenze fortunate che hanno reso Cuore in polvere una tappa importante del mio percorso artistico.

In un mondo in cui si produce sempre più dietro ad uno schermo e sempre meno con strumenti vibranti colpisce la tua scelta di registrare tutto in presa diretta. Come mai?

Ho voluto fare questa scelta deliberatamente, perché credo che oggi ci sia un eccesso di editing nelle produzioni musicali e finiamo per apprezzare più la bravura del fonico che quella del cantante o del musicista.

Io, invece, ho voluto tornare alle origini, senza fare paragoni profani, ma ispirandomi al modo in cui venivano registrati i dischi di Frank Sinatra. Si trattava di vere e proprie esecuzioni live, catturate con tecniche da studio ma mantenendo intatta la spontaneità dell’interpretazione.

Questa modalità permette di percepire una magia unica, quella che si crea tra tutti i partecipanti: musicisti, direttori d’orchestra, e chiunque sia coinvolto nel progetto. È una vibrazione speciale che si perde quando tutto viene costruito a tavolino o esasperato dall’editing in studio.

Ovviamente è stato un lavoro molto più impegnativo, sia a livello operativo che economico. Registrare un disco con un’orchestra in presa diretta non è una cosa che si fa tutti i giorni. Ma ci tenevo moltissimo, e alla fine siamo riusciti a realizzarlo.

Come ti senti in questa nuova fase della tua carriera, alle prese con un album di inediti, dopo tanta esperienza da ricercatore e interprete?

Il mio primo album risale al 2017 ed era interamente dedicato ad arie d’opera. Non avevo mai pubblicato un disco di inediti, e sentivo la necessità di esplorare questa dimensione. Cercavo di trovare la stessa combinazione che avevo già individuato nel mix tra rock e opera. Questi due mondi, che possono sembrare opposti, si sono rivelati molto più vicini di quanto immaginassi: ho scoperto che l’equilibrio era già scritto, non ho dovuto fare altro che portarlo alla luce.

Gli inediti sono importanti, perché possono lasciare un segno non solo nel cuore di chi li canta, ma anche in quello di chi li ascolta. Per questo sentivo fosse arrivato il momento giusto per realizzare un album che includesse anche brani nuovi. Grazie a Caterina Caselli, ho avuto l’onore di interpretare Volo di notte, un brano scritto da Lucio 48 e Francesco Sartori, gli stessi autori di Con te partirò di Andrea Bocelli. È la prima volta in trent’anni che un nuovo pezzo con questa firma viene pubblicato. Era un brano custodito a lungo e, grazie alla Caselli, ho avuto la possibilità di riportarlo alla luce.

L’album include anche altre collaborazioni di grande valore: testi firmati da Beppe Servillo, un brano scritto da Morgan, e addirittura un pezzo nato da un testo di Andrea Camilleri. È un disco che sento avere una doppia anima: da un lato c’è l’opera, dall’altro gli inediti.

Sono molto soddisfatto del risultato. È stato un lavoro intenso, durato due anni, e frutto dell’impegno di un grande team. Anche se io rappresento il progetto, dietro c’è una squadra straordinaria: è come essere la punta di un iceberg, sotto c’è un’intera struttura che lo sostiene. Ora, naturalmente, spetta al pubblico giudicare, ma nel mio cuore sono felice di ciò che abbiamo creato.

È stato un passaggio importante. Non avevo inserito inediti nel mio primo album perché, semplicemente, non avevo ancora trovato il giusto legame tra ciò che sono come tenore e chitarrista nell’ambito dell’opera e ciò che potevo essere negli inediti.

Sono convinto che, quando si fa qualcosa, bisogna avere davvero qualcosa da dire. Deve essere autentico, deve rispecchiare chi sei. Nel primo album c’erano stati degli inediti prodotti, ma non li sentivo adeguati, non riuscivano a rappresentare al meglio quella fusione tra opera e rock che cercavo.

In questo nuovo progetto, invece, dopo due anni di lavoro intenso e tante sperimentazioni, credo di aver finalmente raggiunto quel mix che avevo in mente. Non è stato facile: creare una canzone inedita che unisca opera e rock è un’impresa complessa, e il rischio di cadere nel grottesco è sempre dietro l’angolo.

Ma con questo album sento di aver trovato un equilibrio autentico, qualcosa che mi rappresenta davvero, riuscendo a traghettare quella combinazione tra i due mondi in un linguaggio nuovo e personale.

di Federico Arduini

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