“Fino alla fine”, il nuovo film di Gabriele Muccino
Due giovani sorelle statunitensi in vacanza in Italia rappresentano due modi opposti di vedere il mondo in “Fino alla fine”
“Fino alla fine”, il nuovo film di Gabriele Muccino
Due giovani sorelle statunitensi in vacanza in Italia rappresentano due modi opposti di vedere il mondo in “Fino alla fine”
“Fino alla fine”, il nuovo film di Gabriele Muccino
Due giovani sorelle statunitensi in vacanza in Italia rappresentano due modi opposti di vedere il mondo in “Fino alla fine”
Due giovani sorelle statunitensi in vacanza in Italia rappresentano due modi opposti di vedere il mondo in “Fino alla fine”
Non è il Gabriele Muccino di “Come te nessuno mai” né quello di “Sette anime”, purtroppo. Due giovani sorelle statunitensi in vacanza in Italia rappresentano due modi opposti di vedere il mondo in “Fino alla fine”, nuovo film del regista e sceneggiatore romano (nelle sale dal 31 ottobre).
Sophie (l’attrice Elena Kampouris) e sua sorella arrivano in Sicilia, ultima tappa improvvisata delle loro vacanze italiane, fra monumenti e musei. Qui Sophie incontra Giulio (interpretato da Saul Nanni) e il suo gruppo di amici; da quel momento inizia una discesa vertiginosa che la porta sull’orlo del baratro. Una pellicola che mescola vari generi – dal thriller all’avventura, dall’azione alla storia d’amore – in una narrazione nell’arco di ventiquattro ore.
La sceneggiatura (scritta dallo stesso Muccino con Paolo Costella) così come il linguaggio cinematografico sono quindi abbastanza stratificati. Fra le righe c’è una riflessione su scelte e destino. L’intento è mostrare come anche una singola giornata senza freni e negazioni possa trasformarsi in un viaggio intenso, capace di far vivere tante vite in una sola. L’opera si scontra però troppo spesso con la difficoltà di sostenere la premessa, tra emozioni agli steroidi e personaggi stereotipati. La protagonista, interpretata con vigore ma forse con poche sfumature, è una ragazza che simboleggia l’idea della gioventù ribelle e sognatrice, in contrasto con la sorella, più controllata e puntigliosa. Colta quindi noiosa, sembra essere la morale. Dopo una vita di sogni infranti e solitudine, sembra voler vivere al massimo per compensare anni di repressione, ma questa sua spinta di libertà è nevrotica, quasi artificiosa. La narrazione si perde infatti in eccessi di adrenalina e in scelte registiche che confondono intensità emotiva con esagerazione. Per esempio, il rapporto fra Sophie e Giulio nasce e si sviluppa troppo rapidamente. Lui le dice: «Tu sei unica, non te lo scordare mai» come se si conoscessero da anni, quando in realtà si frequentano da poche ore. Il vivere senza rimpianti è sì il tema fondante, ma il messaggio si diluisce fra episodi e battute iperboliche. La Palermo messa in scena è al contrario ben centrata, viva e meravigliosa, ma i personaggi locali – come Giulio e i suoi amici – sono disegnati con tratti caricaturali, tra tatuaggi finti e un’energia ferina stancante. Ogni dialogo e azione porta con sé una dose di euforia esasperante che rende difficile provare empatia con il loro percorso interiore. Fra gli aspetti più interessanti l’alternanza di italiano e inglese, che mantiene un’autenticità e un contrasto culturale tra i personaggi. Ma le storie di Sophie e degli altri si appoggiano troppo su cliché, sembra quasi che il vivere fuori dagli schemi significhi esclusivamente delinquere o drogarsi.
Nonostante visivamente sia valido, con sequenze da action movie precise e ben costruite, lo stile scivola verso l’eccesso e un mellifluo melodramma, mancando di quella sobrietà che avrebbe potuto rendere più credibili i conflitti psicologici interiori. La colonna sonora tenta di aggiungere epica al finale con una cover di “Heroes” di David Bowie, ma mentre la versione originale sovverte l’enfasi (motivo per cui nel titolo vengono aggiunte le virgolette) qui invece tutto viene elevato in modo pomposo, facendo sembrare ‘eroi’ caratteri che il film non riesce purtroppo a giustificare.
di Edoardo Iacolucci
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