Francesco De Gregori: la storia nella storia di noi stessi
Francesco De Gregori – La storia, dietro ogni testo c’è un contesto: i fatti vanno interpretati alla luce delle condizioni culturali e sociali, non riscritte a posteriori
Francesco De Gregori: la storia nella storia di noi stessi
Francesco De Gregori – La storia, dietro ogni testo c’è un contesto: i fatti vanno interpretati alla luce delle condizioni culturali e sociali, non riscritte a posteriori
Francesco De Gregori: la storia nella storia di noi stessi
Francesco De Gregori – La storia, dietro ogni testo c’è un contesto: i fatti vanno interpretati alla luce delle condizioni culturali e sociali, non riscritte a posteriori
Francesco De Gregori – La storia, dietro ogni testo c’è un contesto: i fatti vanno interpretati alla luce delle condizioni culturali e sociali, non riscritte a posteriori
Non sono infrequenti, in questo periodo, gli attacchi alla storia. Là dove la cancel culture vuole raschiare, basterebbe (per ciascuno di noi) un ripasso di filologia ed ecdotica. Dietro a ogni testo – nell’accezione più ampia del termine – c’è un contesto insradicabile: i fatti e le credenze vanno interpretate alla luce delle condizioni culturali e sociali, non riscritte a posteriori. (Senza per questo sminuire le importanti conquiste della modernità, da affermare e difendere). Non si può riassemblare la storia a proprio uso e consumo né attuare una folle corsa alla damnatio memoriae, da cui non si salverebbe nemmeno Omero. (Che poi tutto ciò che è proibito acquisti invero maggior visibilità lo dimostra la straordinaria fioritura del samizdat in Unione Sovietica, nella seconda metà del secolo scorso…)
Non è facile, però, giudicare la storia. «Non ci sono fatti, solo interpretazioni» tuonava Nietzsche contro le sicurezze epistemologiche del positivismo. Estremo rullo compressore prospettico, però confermato dalle indeterminazioni della meccanica quantistica. Forse aveva ragione Charles Péguy – di cui ricorrono nel 2023 i centocinquant’anni dalla nascita – quando scriveva in “La nostra giovinezza”: «Quello che c’è di più imprevisto è sempre l’evento. Basta avere vissuto un po’ fuori dai libri di storia per sapere, per aver provato che tutto quello che si vuol far emergere è generalmente quello che accade di meno e quello che non si vuol far emergere è generalmente quello che accade». Carlo Bo, da fine interprete qual era, rimandava agli «uomini senza nome» l’eredità del pensiero péguyano: sarebbe giunto finalmente un momento in cui i reietti avrebbero incontrato il paladino dell’umiltà della storia…
L’album “Scacchi e tarocchi” di Francesco De Gregori, pubblicato da Rca Italiana nel 1985, si apre con una delle più significative canzoni dedicate alla partecipazione collettiva nelle vicende umane: “La storia“. È una riflessione sul valore della responsabilità etica delle azioni, che siano rette dal caso o da Dio (una traccia di disegno provvidenzialistico c’è in questo pezzo). «La storia siamo noi, / nessuno si senta offeso. / Siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo. / La storia siamo noi, attenzione, / nessuno si senta escluso. / La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare, / questo rumore che rompe il silenzio, / questo silenzio così duro da masticare». Homo faber fortunae suae: «È la gente che fa la storia» ammonisce il cantautore romano. L’immagine che chiude la canzone è bella ed efficace: come il frumento che biondeggia nella sua piena maturazione, la storia ha sì un senso, una direzione: che tutti i popoli, tutte le generazioni raggiungano escatologicamente la perfetta condizione umana, di bene e di speranza, contro ogni costrizione ideologica: «La storia siamo noi, / siamo noi padri e figli. / Siamo noi – bella ciao – che partiamo, / la storia non ha nascondigli, / la storia non passa la mano. / La storia siamo noi, / siamo noi questo piatto di grano».
di Alberto Fraccacreta
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