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Gabriele Baldocci

Gabriele Baldocci: “Comporre è un’esigenza”. La nascita di “Ageless”

Gabriele Baldocci racconta “Ageless”, i suoi inizi e il nuovo amore per la composizione
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Gabriele Baldocci: “Comporre è un’esigenza”. La nascita di “Ageless”

Gabriele Baldocci racconta “Ageless”, i suoi inizi e il nuovo amore per la composizione
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Gabriele Baldocci: “Comporre è un’esigenza”. La nascita di “Ageless”

Gabriele Baldocci racconta “Ageless”, i suoi inizi e il nuovo amore per la composizione
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Gabriele Baldocci racconta “Ageless”, i suoi inizi e il nuovo amore per la composizione
Quando ci si dedica per una vita ad un mestiere non è mai semplice cambiare, che sia una vera rivoluzione o un piccolo cambiamento. Serve coraggio. Vale in qualsiasi campo, ma soprattutto in quello artistico, dove tutto ciò che ci si conquista lo si fa in una costante competizione e ogni variazione sul tema è un rischio. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il pianista Gabriele Baldocci che, dopo una carriera come interprete e performer, ha abbracciato il ruolo di compositore, aggiungendo così un nuovo capitolo alla sua evoluzione artistica. “Arrivo da una famiglia di non musicisti,” – ci ha raccontato Gabriele – “non sono un figlio d’arte e ne vado fiero. Mi sono completamente fatto da solo,  gavetta annessa. Mio padre però aveva una grande collezione di dischi, da dal rock, alla classica fino al jazz. Da bambino sono stato comunque esposto alla musica. In casa c’era un pianoforte vecchissimo che si trasformò presto in uno dei miei primi giocattoli. Iniziai a suonare così, da autodidatta, quando avevo tre o quattro anni”. Un pianoforte diventato presto come un vero e proprio amico a causa di una malattia autoimmune che costrinse Gabriele in casa per molto tempo: “A sette anni mi ammalai di una malattia autoimmune che all’epoca era poco conosciuta. Rimasi in casa abbastanza isolato per diversi anni, durante i quali ho avuto la compagnia del pianoforte“. Poi gli studi da giovanissimo prodigio, diverse accademie e l’incontro con la leggendaria Martha Argerich: “Ero ancora piccolo quando volli andare a conoscere Martha durante un concorso che organizzava a Buenos Aires, pensando soltanto di stringerle la mano. Invece, a lei piacquero moltissimo le mie esecuzioni e mi invitò a suonare l’anno successivo al suo fianco in tour in Argentina. Da lì è partita la mia carriera di musicista classico”. Una carriera che l’ha portato a suonare nei teatri più grandi del mondo ma anche ad evolvere come artista, a cercare nuove forme di comunicazione in musica che non fossero solo esecutive: “Quando non ho avuto più niente da dimostrare ho iniziato anche a dedicarmi ad altri progetti. L’ambito della musica classica è abbastanza snob, quasi ci si deve nascondere se piacciono anche altre cose. Tra i miei vari progetti, diversi dall’ambito classico, c’è stata tra le altre una collaborazione con i Queen per le trascrizioni pianistiche dei loro brani. Ma soprattutto mi sono messo a scrivere musica. Durante la pandemia non c’era altro da fare. Ho ricominciato a scrivere musica come facevo da bambino e sotto consiglio proprio di Marta Argerich ho deciso di pubblicare un primo album dentro cui c’è condensato tutto. Era un po’ un’esigenza. Sai, ero leggermente ossessionato dalla performance, perché comunque ho sempre vissuto sul palcoscenico. Ma da quando ho scoperto il piacere di esprimermi anche scrivendo, la mia musica è diventata quasi una dipendenza. Adesso non ne posso più fare a meno”. Il disco in questione è “Ageless“, composto da 11 brani per piano solo, una collezione di ritratti musicali che vanno a costruire un vero e proprio concept album. Una scelta che però non è stata programmatica, come ci ha spiegato Baldocci: “Mi sono reso conto a metà strada che si stava sviluppando un concept. Tutto il disco è basato sul concetto della percezione del tempo, di come percepiamo il tempo, di come il concetto di tempo cambia a seconda delle parole che usiamo e dal momento della nostra vita che stiamo vivendo. Da bambini ad esempio scorre più veloce. Il brano che dà nome al disco è dedicato a Ezio Bosso. Un brano scritto molto velocemente, pensando al fatto che quando una persona ci lascia troppo presto, come nel caso di Ezio, il mondo gli invecchia intorno mentre lei rimane cristallizzata, senza età“. Una veste, quella del compositore, che nonostante la pregevole fattura del disco e l’avvicinarsi di un tour ancora non sente totalmente sua: “Mi sento ancora un pò un pesce fuor d’acqua. Mi ci sono appena tuffato, devo ancora abituarmi a questa nuova vita. Nuova immagine, nuova carriera”. E per chi si approccia oggi alla musica per la prima volta, ai più giovani, un consiglio: “Cercare di capire, al di là delle distrazioni, che ognuno di noi ha uno scopo nell’universo. Cercare di capire qual è quello scopo e buttarcisi dentro anima e corpo, inseguendo quello per cui siamo nati”. Ma soprattutto seguire la propria testa, non quella dei genitori: “La cosa peggiore che puoi fare a un bambino è privarlo della possibilità di realizzare il proprio potenziale. Vedo tanti genitori che cercano di spingere i figli e la vedo proprio quest’ansia di realizzarli, come fossero dei robottini. Li vedi infelici. Anche tanti colleghi vorrebbero creare cloni di loro stessi. Io non me la sento di incoraggiare questo, me bisogna incoraggiare quello che è il talento, lo scopo di ciascuno di noi“. di Federico Arduini 

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