Andrebbe chiesto anche ad artisti italiani come Achille Lauro o Rosa Chemical cosa George Michael ha rappresentato per loro. Il genitore 1 del queer europeo, mondiale.
Una di quelle star senza tempo, che ha pagato dazio abbastanza alla censura sessuofobica degli anni ’80. Come Freddie Mercury, David Bowie, Elton John, Boy George. Ha giocato con il corpo, con il sesso, ha sconvolto, ha attirato censure da TV, radio.
Oggi la stella degli Wham! avrebbe compiuto 60 anni e il 5 luglio è in arrivo il documentario – Wham! su Netflix – sulla genesi del fantastico duo dai capelli cotonati e voci all’olio di oliva che hanno conquistato il mondo.
Ma oltre alla lotta per i diritti Lgbt, oltre all’impegno contro l’Aids, che era stato intenso, nonostante i singoli di Michael, a partire dal primo nell’era post Wham! “i Want Your Sex” fosse un chiaro invito all’amore mordi e fuggi (bandito dalla BBC) mentre l’Hiv si moltiplicava, oltre al suo coming out ritardato negli anni ed estremamente sofferto, Michael era uno straordinario artista.
Un talento unico, capace di mischiare generi e di produrre forse il livello più alto del pop. Una voce potente, una presenza scenica da frontman di un gruppo rock anni ’70, una popstar globale. Un intreccio di musica e moda, di fluidità sessuale, di talento spaziale. Centoventi milioni di dischi venduti non rendono bene l’idea della sua eredità musicale sulle generazioni successive.
Un fenomeno della corposa lista di quelli morti davvero troppo presto, a 53 anni, quando la maturità artistica produce ancora capolavori.
di Nicola Sellitti
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