Giovanni Nuti: “Sento Alda ancora vicina a me”
Giovanni Nuti, artisticamente al fianco di Alda Merini per 16 anni, ha firmato “Lirica Antica” per il film “Folle d’amore – Alda Merini”, in onda questa sera su Rai 1
Giovanni Nuti: “Sento Alda ancora vicina a me”
Giovanni Nuti, artisticamente al fianco di Alda Merini per 16 anni, ha firmato “Lirica Antica” per il film “Folle d’amore – Alda Merini”, in onda questa sera su Rai 1
Giovanni Nuti: “Sento Alda ancora vicina a me”
Giovanni Nuti, artisticamente al fianco di Alda Merini per 16 anni, ha firmato “Lirica Antica” per il film “Folle d’amore – Alda Merini”, in onda questa sera su Rai 1
Giovanni Nuti, artisticamente al fianco di Alda Merini per 16 anni, ha firmato “Lirica Antica” per il film “Folle d’amore – Alda Merini”, in onda questa sera su Rai 1
Da domani venerdì 15 marzo sarà disponibile sulle piattaforme streaming e in digital download “Lirica Antica”, brano interpretato e composto da Giovanni Nuti , inserito nella colonna sonora del film “Folle d’amore – Alda Merini” di Roberto Faenza in onda questa sera in prima serata su Rai 1. Giovanni Nuti incontrò Alda Merini nel 1993 e dalla loro collaborazione – che la poetessa definiva «matrimonio artistico» – sono nati diversi spettacoli e numerosi dischi: sulle parole di Alda, Giovanni scriveva la musica, dando così vita a vere e proprie canzoni.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Giovanni sul brano scelto da Faenza per il film e sul suo rapporto con Alda Merini, una delle poetesse italiane più amate di sempre.
Come hai conosciuto Alda?
“È stata la sua poesia a venirmi addosso. Mi trovavo in una libreria e ad un certo punto un libro è caduto da solo, già aperto. L’ho raccolto e sulla pagina c’era la poesia “I sandali”. Quando l’ho letta, mi sono sentito rapire da un linguaggio forte, che mi è arrivato dritto al cuore. Ho sentito come se fosse musica. Ho preso il libro, ho guardato la copertina e ho scoperto che era di Alda Merini, che all’epoca, nel 1993, non conoscevo. Sono andato a casa e l’ho musicata. Dopo di che sono andato sul Naviglio e ho chiesto a degli edicolanti se potevano darmi l’indirizzo di Alda. A lei ho scritto una lettera, raccontando che avevo musicato una sua poesia e che mi sarebbe piaciuto molto fargliela ascoltare. Alda mi telefonò nel cuore della notte, lasciandomi un messaggio in segreteria. E già allora capii che era un essere eccezionale, perché mi disse: ‘Se vuole, mi può venire a trovare all’Hotel Certosa. Sono in vacanza’. Quell’hotel, che ora non c’è più a Milano, distava 500 metri da casa sua. E così andai. Ci guardammo, lei mi scrutò con quegli occhi incredibili e da lì non ci siamo più lasciati. Siamo rimasti assieme per 16 anni, sino alla sua morte.”
Come sei riuscito a vestire i versi di Alda con la musica giusta?
“Non te lo saprei dire. Ero sempre pronto con carta e penna quando lei mi dettava le poesie al telefono. Non mi dava molto tempo. Lei componeva poesie in mezzo minuto, come se la voce che le dettava avesse già tutto memorizzato. E voleva che io fossi altrettanto veloce. ‘Dai, dai, ti lascio un quarto d’ora o mezz’ora’, mi diceva. Non posso davvero descrivere il metodo. Mi lasciavo guidare dalle sue parole e così nascevano le canzoni. Eravamo come dei sarti, ma ci dedicavamo quasi solo a quello. Come ha detto Vincenzo Mollica, non c’è stato un caso nella storia della musica come il nostro. Alda diceva che per musicare un poeta lo devi vivere nella sua quotidianità. Ma come fai a musicare il manicomio se tu non l’hai vissuto? Stavo con lei, sentivo i suoi racconti, entravo in lei. A volte si disperava, piangeva e mi arrivava tutta questa grande emozione che poi si trasformava in musica. Quando ho musicato l'”Albatros”, che fu scritta proprio nel periodo in cui Alda era in manicomio, e lei sentì il provino, cominciò a piangere, dicendomi che nel manicomio lei sentiva proprio quelle note.”
La poesia di Alda ancora oggi è amatissima e viene scoperta da tanti giovani. Secondo te perché?
“Un giorno passeggiavamo lungo il Naviglio. Era appena morto il poeta Mario Luzi, che lei stimava molto. Lei mi disse: “Vedi, qua in Italia quando muore un poeta ne parlano per due giorni. Poi basta, va nel dimenticatoio”. Io la guardai negli occhi e le dissi che ero certo che per lei non sarebbe stato così. E avevo ragione. I giovani si appassionano in maniera incredibile alla sua poesia. Non sai quante mail ricevo di ragazzi che mi ringraziano, perché attraverso la musica sono arrivati a scoprire Alda Merini, a leggere i suoi libri, le sue poesie. Il suo intento era di arrivare a tutti, diceva di non scrivere per un rettore dell’università ma per il fruttivendolo, per i ragazzi, per il cuore. Perché la poesia deve arrivare al cuore, deve emozionare”
Il vostro è stato un legame molto forte
“Alda è morta nel 2009 ma io non ho smesso di musicare le sue poesie. L’unica interruzione l’ho avuta poco tempo fa con il disco per Luigi Tenco e Dalida. Ma ho già ripreso a musicare le sue poesie come lei fosse in vita. Non è cambiato il nostro rapporto. Ecco, lei ora è nella veste spirituale ma la sento che c’è, che mi segue, la sento, la sento molto presente”.
Raccontaci di “Lirica antica”, il brano che chiuderà il film su Alda in onda questa sera su Rai 1
“Lirica antica” è una delle più belle poesie di Alda Merini. La scrisse nel ’61, prima di entrare nel manicomio Paolo Pini dove ci resterà fino al ’72. Già a 16 anni scriveva come a 70, come avesse già vissuto tutte le sfumature dell’amore. Si tratta di una poesia che avevo già musicato e che lei aveva ascoltato al pianoforte, ma come tante cose che abbiamo scritto, è stata messa da parte. Ho sentito che era questo il momento giusto di farla uscire. È una poesia che denuncia l’impossibilità di amare: l’anima di Alda si sentiva prigioniera, in questo caso del buio. Solo l’amore secondo Alda poteva salvarla e così chiede aiuto alla persona amata e quasi le sembra un sogno: “Amore mio ho sognato di te come si sogna della rosa e del vento”. Nel contesto del manicomio, le rose che raccoglieva e “mangiava” metaforicamente, rappresentavano l’unico nutrimento di bellezza in un ambiente altrimenti privo di speranza e orrore”.
di Federico Arduini
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