
Greta Cominelli racconta l’EP “Luce ribelle dell’alba”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Greta Cominelli sul suo ultime Ep “Luce ribelle dell’alba”
Greta Cominelli racconta l’EP “Luce ribelle dell’alba”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Greta Cominelli sul suo ultime Ep “Luce ribelle dell’alba”
Greta Cominelli racconta l’EP “Luce ribelle dell’alba”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Greta Cominelli sul suo ultime Ep “Luce ribelle dell’alba”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Greta Cominelli sul suo ultime Ep “Luce ribelle dell’alba”
Nel mare magnum della musica liquida sembrerebbe cosa facile trovare qualcosa di nuovo e interessante da ascoltare. Invece, non è propriamente così. Ogni tanto ci divertiamo a scavare per voi in questo universo in continua espansione per trovare artisti di valore, che meritano un ascolto attento. Poi starà all’ascoltatore scegliere se seguire l’artista in questione o veleggiare verso altri lidi.
Oggi vi parliamo di Greta Cominelli, cantante e artista poliedrica di Brescia, e del suo ultimo Ep, “Luce ribelle dell’alba”. Composto da cinque brani inediti, l’EP (“extended play”, disco con 3-6 brani e una durata massima di 20 minuti ndr) offre una visione positiva della ribellione, intesa come forza per superare ostacoli, pressioni esterne e fragilità interiori. Tra determinazione, eleganza e riflessione, il progetto unisce sonorità acustiche e contemporanee, dando nuova freschezza a un gusto retrò ispirato a diverse forme artistiche, dalla danza al cinema. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Greta per sapere com’è nata l’idea di questo Ep e qualche curiosità in più.
Com’è nato l’EP?
“Luce ribelle dell’alba” nasce innanzitutto dall’esigenza di raccontarmi, di condividere con il pubblico le mie riflessioni su diverse tematiche, facendolo da un punto di vista creativo. Non limitandomi alla musica, al canto o alla scrittura dei brani—poiché i testi sono miei—ma attingendo anche all’intenso fermento culturale della Belle Époque e dei primi anni ’30 del Novecento, ispirandomi a molteplici forme d’arte.
Ho tratto ispirazione dalla danza, dal teatro, dalla fotografia, dal cinema e persino dalla moda, tutti elementi che hanno caratterizzato quel periodo di straordinaria vitalità artistica. Questa ricchezza è stata per me un’importante fonte di stimoli, sia dal punto di vista estetico che concettuale.
Il tema centrale del progetto è la ribellione, come suggerisce il titolo. Una ribellione dall’accezione positiva, diversa da quella che spesso, oggi, viene associata a violenza o prepotenza. Qui, la ribellione è luce, energia, dialogo con noi stessi. È il motore che ci permette di esprimere la nostra essenza e i nostri talenti, portandoli nel mondo e condividendoli con gli altri.
Per questo ho scelto il titolo Luce ribelle dell’alba: perché ogni nuovo giorno rappresenta un’opportunità di rinascita, di espressione e di rinnovamento interiore.

Come mai proprio il periodo della Belle Époque?
Ho iniziato ad approfondire il periodo della Belle Époque già ai tempi della quinta superiore, in occasione degli esami. Studiando al liceo linguistico, ho avuto modo di esplorare diverse materie che, in qualche modo, si collegano a quel periodo storico. Forse è proprio da lì che è nata la mia fascinazione: qualcosa che avevo lasciato in sospeso nel passato e che ho poi voluto riportare nel mio presente.
A livello personale, le motivazioni sono molte. La Belle Époque è stata un’epoca di grande fermento culturale, un aspetto che sento particolarmente vicino. Oggi vedo tante persone impegnate nell’arte e nella musica, ma percepisco un entusiasmo diverso rispetto a quello che immagino caratterizzasse quel tempo. Inoltre, in quel periodo i primi movimenti femministi cominciavano a farsi sentire con forza, e questo si ricollega al tema dell’emancipazione femminile, centrale nel mio EP.
C’è poi una componente estetica: il gusto di quell’epoca mi affascina profondamente, dalla moda alla musica, fino alla pittura. L’Impressionismo, che si sviluppa proprio tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, è una delle correnti artistiche che amo di più, capace di emozionarmi ogni volta. In questo progetto convivono quindi sia una riflessione concettuale e razionale, sia un forte coinvolgimento emotivo.
Se dovessi scegliere un solo brano da consigliare ai nostri lettori, per approcciarsi al progetto, quale sceglieresti?
Se dovessi indicare un brano che rappresenta al meglio l’essenza dell’EP, direi “Madame Paris“, la terza traccia. Il titolo è già evocativo: richiama subito la Belle Époque, la Francia, Parigi. Anche a livello musicale, il brano trasporta immediatamente in quell’atmosfera, essendo un valzer francese.
Dal punto di vista testuale, il concetto di “Luce ribelle dell’alba” è presente in modo più velato, ma per me ha un significato molto personale. Metto sempre molta determinazione ed energia in ciò che faccio, nonostante le difficoltà — come accade a tanti artisti. “Madame Paris” incarna perfettamente questo spirito e, in particolare, è stata ispirata dal libro “Scandalosamente felice“, una biografia di Joséphine Baker. La sua storia, segnata da ostacoli sia personali che artistici, mi ha colpita profondamente: è diventata un’icona della Francia e della danza, e ho voluto reinterpretare il suo percorso attraverso una lente più personale. Il brano parla di teatro, musica, magia ed evasione — elementi chiave anche nell’intero disco.
Se dovessi scegliere un’altra traccia significativa, direi “Stella bianca nel blu“, per il suo legame con il tema dell’emancipazione femminile, di cui parlavamo prima.
Come hai scelto i brani e come ci hai lavorato?
Il progetto è nato da una selezione di cinque brani tra le tante composizioni di Renato Caruso, chitarrista e compositore, nonché co-produttore artistico insieme a me e a Andrea Nigro. Ho scelto questi pezzi innanzitutto per l’emozione che mi hanno trasmesso all’ascolto, e successivamente ho cercato di comprendere quale messaggio volessi comunicare attraverso di essi e quale fosse il loro filo conduttore.
Ne è nato così il tema della ribellione, che attraversa tutto l’EP e si rivolge a tutti, ma con un’attenzione particolare alle donne. Uno degli aspetti centrali del lavoro è infatti l’emancipazione femminile. Durante la scrittura, mi sono immersa completamente in questi temi, ponendo grande cura nella scelta delle parole e nell’estetica del linguaggio.
Un ruolo fondamentale nel progetto lo ha avuto anche Pino Di Pietro, pianista e arrangiatore, che ha curato in particolare l’arrangiamento dell’ultimo brano dell’EP, “Sotto un cielo di corallo“. La collaborazione con lui e con gli altri musicisti è stata caratterizzata da un’intesa speciale, sia dal punto di vista umano che professionale.
Un altro aspetto per me essenziale nel processo creativo è stato il lavoro fotografico. Non si tratta semplicemente di immagini che accompagnano la musica, ma di una parte integrante del progetto. Invece di realizzare un videoclip, ho scelto di raccontare l’EP attraverso una serie di scatti realizzati con il fotografo Andrea Mutti.

Ci racconti meglio com’è nato il sodalizio artistico con Renato Caruso?
Dico sempre che questa collaborazione è nata grazie a un algoritmo, e lo trovo curioso anche perché Renato Caruso, oltre a essere compositore e chitarrista, è anche divulgatore scientifico e informatico—quindi apprezza particolarmente questa definizione! Ci siamo conosciuti su Facebook, grazie a contatti in comune, e da lì è nata un’amicizia e uno scambio artistico immediato.
Avevo il desiderio di creare un progetto acustico con la chitarra, quindi abbiamo iniziato a collaborare dal vivo. Nel tempo, abbiamo portato la nostra musica in diversi eventi, anche teatrali e in contesti culturali, fino ad arrivare a suonare insieme anche a Marsiglia, in Francia. Questa collaborazione continua a crescere e, soprattutto, è bello creare insieme.
di Federico Arduini
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Tag: musica, Musica italiana
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