I Guappecartò raccontano “D-Segni”: “Un progetto multisensoriale. La musica, la nostra lingua più autentica”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con i Guappecartò sul nuovo disco “D-Segni” e sul legame con Madeleine Fischer
I Guappecartò raccontano “D-Segni”: “Un progetto multisensoriale. La musica, la nostra lingua più autentica”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con i Guappecartò sul nuovo disco “D-Segni” e sul legame con Madeleine Fischer
I Guappecartò raccontano “D-Segni”: “Un progetto multisensoriale. La musica, la nostra lingua più autentica”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con i Guappecartò sul nuovo disco “D-Segni” e sul legame con Madeleine Fischer
Ci sono incontri che cambiano il corso delle cose. Per i Guappecartò, quell’incontro ha avuto il volto e la voce di Madeleine Fischer, attrice, musa e madre spirituale di un sogno musicale nato per strada e diventato, con il tempo, una delle esperienze più originali del panorama europeo. Da quell’eredità affettiva e artistica nasce oggi “D-Segni”, un lavoro potente, intimo: nove tracce come frammenti di memoria, un mosaico di suoni e visioni che intreccia passato e presente, perdita e rinascita.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Mala (Marco Sica) e Braga (Pierluigi D’Amore), le anime dei Guappecartò, per parlare di questo nuovo viaggio sonoro, di ciò che resta dei sogni di un tempo e di come la musica possa ancora essere un atto di gratitudine e di resistenza.
Partiamo dal principio: come nasce questo disco e quale storia racconta?
Questo album, anche se è stato realizzato nell’ultimo anno, ha avuto una gestazione molto più lunga. Tutto parte nel 2020, quando è venuta a mancare Madeleine Fischer, un’attrice molto attiva negli anni Cinquanta, che per noi è stata una figura fondamentale. Negli anni aveva collaborato con noi per la colonna sonora di un film sperimentale e ci aveva lasciato un libro misterioso, “Segni“: un volume quadrato, fatto di immagini e aforismi enigmatici. Quel libro è stato una rivelazione.
Da lì è nata l’idea di realizzare un disco come omaggio a Madeleine, ma anche come modo per sublimare il dolore e raccontare la nostra trasformazione. Dal 2020 a oggi il gruppo è cambiato molto – da quintetto siamo diventati un duo – e questo disco segna un punto di svolta, sia artistico che umano.

Il disco ha un suono diverso rispetto ai vostri lavori precedenti. Come avete lavorato alle nuove sonorità?
È stata un’avventura incredibile. Dopo la scomparsa di Madeleine avevamo mille idee sparse, un po’ come le pagine del suo libro: immagini, frammenti, ricordi. Tutto ha preso forma quando, lo scorso ottobre, ci siamo ritrovati con Stefano Piro, il nostro produttore. È stato lui a darci la chiave giusta: “Usiamo i segni del libro come tappe per raccontare la storia del gruppo”.
Così, in una sola settimana, abbiamo registrato l’intero disco, seguendo questo flusso di memorie. Il lato A è proprio dedicato ai ricordi: dalla nascita del gruppo a Gubbio, all’arrivo a Parigi, fino agli incontri che ci hanno segnato.
Quindi è anche un racconto personale e simbolico allo stesso tempo?
Assolutamente. Il libro di Madeleine parlava di circolarità del tempo e dell’esperienza umana. Ci siamo riconosciuti in quel messaggio: spesso pensiamo di evolverci in modo lineare, ma in realtà viviamo dentro cicli continui. Quello che poteva sembrare la fine di un percorso, in realtà, è stato l’inizio di un altro.
È un concetto universale, ma parte da noi: dal nostro dolore, dalle nostre rinascite, dai nostri legami.
Nel disco non ci sono testi: avete scelto di comunicare solo con la musica. Perché?
È una scelta consapevole, e anche un po’ rischiosa. Il linguaggio musicale apre infinite possibilità d’interpretazione, a volte lontane da ciò che avevamo in mente, ma è proprio questo il bello. La musica è la nostra lingua più autentica.
Per la prima volta, però, abbiamo deciso di affiancare un libro al disco: contiene la nostra storia, i disegni ispirati alle fotografie di Madeleine e gli aforismi originali. Chi vuole può immergersi completamente nel nostro viaggio leggendo e ascoltando insieme, oppure vivere le due esperienze separatamente. È un progetto completo, multisensoriale.
Un progetto così profondo è piuttosto raro oggi, in un’epoca di musica “usa e getta”.
È vero. Oggi si tende a privilegiare la rapidità e l’immediatezza, mentre noi abbiamo scelto di prenderci il tempo di dare forma a qualcosa di vissuto. Non c’è nulla di male nella varietà musicale, ma il problema nasce quando tutto va in una sola direzione. Con questo disco volevamo restituire alla musica il suo potere di evocare, di far riflettere, di fermare il tempo.
A novembre porterete il progetto dal vivo. Che tipo di esperienza sarà?
Abbiamo debuttato ad Avignone con la data zero ed è stata un’esperienza straordinaria. Per la prima volta abbiamo deciso di dare al live un taglio davvero immersivo. Lo spettacolo si apre con una lettera di Madeleine, la stessa che introduce l’album, e poi lasciamo che la musica guidi tutto il racconto. Suoniamo l’intero disco senza interruzioni, come un film sonoro, e parliamo al pubblico solo alla fine.
Sul palco con noi ci saranno Sebastian Martelli (chitarrista e co-produttore) e Natale, che si occupa di “disegni ritmici”: suona oggetti quotidiani trasformandoli in percussioni, creando atmosfere uniche.
Dove possibile, proietteremo anche immagini tratte dal libro, per dare una dimensione visiva al viaggio musicale.
Un progetto che unisce memoria, suono e immagine: sembra quasi un’opera totale...
Sì, è proprio questo il nostro intento. Ogni brano, ogni immagine, ogni ricordo è parte di un unico racconto. È il modo che abbiamo trovato per trasformare la mancanza in presenza, il dolore in creazione. E per dire che, in fondo, ogni fine può essere un nuovo inizio
di Federico Arduini
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- Tag: musica, Musica italiana
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