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I tanti meriti di Max Pezzali

Max Pezzali ha l’innata capacità di mettere tutti d’accordo. Così si spiega l’incredibile successo di Max30 
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I tanti meriti di Max Pezzali

Max Pezzali ha l’innata capacità di mettere tutti d’accordo. Così si spiega l’incredibile successo di Max30 
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Max Pezzali ha l’innata capacità di mettere tutti d’accordo. Così si spiega l’incredibile successo di Max30 
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Max Pezzali ha l’innata capacità di mettere tutti d’accordo. Così si spiega l’incredibile successo di Max30 
Lunedì scorso, ad applaudire Max Pezzali al Forum di Assago, alle porte di Milano, c’erano anche mamma Alba e papà Sergio. Lo avranno visto dal vivo decine di volte in 30 anni di carriera che il cantante celebra ora in un tour di sole hits “Max30”.  Due ore e trenta in cui anche chi non ha mai comperato un suo disco è “condannato” a cantare tutto il tempo, perché le sue canzoni sono tutte famose.  13mila persone che urlano all’unisono il nome di tuo figlio sono un’onda d’affetto a cui non ci si abitua mai. Incredulità e orgoglio, forse persino un pizzico di vergogna nel ripensare a tutte quelle volte che gli avranno detto “Massimo, che ti sei messo in testa?! Serve avere le conoscenze giuste”. La ragione, alla fine, l’ha avuta lui. Anche perché la conoscenza giusta è arrivata praticamente subito, nella figura di Claudio Cecchetto che all’epoca aveva già sotto la sua ala un giovane Fiorello che faceva le imitazioni a Radio Deejay in coppia con Amadeus e Marco Baldini e uno sbarbato Jovanotti che faceva impazzire orde di ragazzine al ritmo di “Gimme 5, all right”. Poi c’erano loro, questi due giovani che si erano conosciuti in un liceo del pavese, Massimo Pezzali e Mauro Repetto, gli 883, come la cilindrata del loro modello preferito di Harley Davidson. Nel primo disco, oltre alla canzone che li consacrò in tutta Italia (“Hanno ucciso l’uomo ragno”), “ce n’era anche una  per cui nessuno ci avrebbe dato due lire” raccontava divertito Pezzali dal palco. Si sbagliavano tutti, perché “Non me la menare”, assieme a “Te la tiri”, divenne uno dei brani più passati in radio. Le ha cantate entrambe in un medley che ha sbloccato un fiume di ricordi tra il pubblico più over: “Avevamo 15 anni – sbraita una donna sulla quarantina verso l’amica che sul capo porta una fascia gialla su cui campeggia la scritta “Max 30” – Il nostro primo concerto, quando c’era ancora il tizio che ballava dietro”. Il tour ha fatto registrare il tutto esaurito ovunque e basta guardarsi attorno per capire il perché. Max Pezzali riesce a mettere tutti d’accordo, giovanissimi e persone che hanno superato la 50ina. Come lui, che di anni ormai ne ha 56, anche se sembra lo stesso di un tempo, solo con meno capelli. Si muove poco, forse perché quei disturbi all’anca che lo tengono lontano dalle corse in motocicletta. Ma canta tantissimo. “Con un deca non si può andar via, non ti basta neanche in pizzeria” intona mentre sul grande schermo dietro al palco scorrono le immagini di un’epoca nemmeno troppo lontana che pure sembra arrivare dalla preistoria ormai. Oggetti come il telefono arancione delle cabine della SIP, il walkman, gli anni del grande Real, di Happy Days e di Ralph Malph.  Tre decadi in cui Pezzali è riuscito a rimanere fedele a sé stesso, raccontando sentimenti universali come l’amicizia e l’amore, usando all’occorrenza anche la chiave dell’ironia. Difficile elencare tutte le canzoni che sono entrate di diritto nella storia della musica italiana: da “Come mai” a “Sei un mito”, da “Nord Sud Ovest Est” a “Rotta per casa di dio”, da “Gli anni” a “La dura legge del gol”. Canzoni che sono un racconto, uno scorcio su usi e costumi degli italiani, narrati con un linguaggio sempre attuale, a volte persino leggero che però non ha mai trascurato l’importanza dell’uso delle parole, parole in cui tutti potessero riconoscersi. E’ stato furbo?  Forse, ma soprattutto è stato bravo. Di Ilaria Cuzzolin

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