Il documentario “Spielberg – Il Re di Hollywood”
Una preziosa occasione per ripercorrere la carriera e la variegata filmografia del celebre regista è rappresentata dall’ottimo documentario “Spielberg – Il Re di Hollywood”
Il documentario “Spielberg – Il Re di Hollywood”
Una preziosa occasione per ripercorrere la carriera e la variegata filmografia del celebre regista è rappresentata dall’ottimo documentario “Spielberg – Il Re di Hollywood”
Il documentario “Spielberg – Il Re di Hollywood”
Una preziosa occasione per ripercorrere la carriera e la variegata filmografia del celebre regista è rappresentata dall’ottimo documentario “Spielberg – Il Re di Hollywood”
Pochi, pochissimi registi hanno lasciato il segno nella storia del cinema come Steven Spielberg. Dai risultati commerciali straordinari alla capacità di coniugare intrattenimento, tecnica visiva e temi personali con efficacia, il suo curriculum è costellato di intuizioni geniali. Sia chiaro: anche nel suo caso non mancano i flop, dal punto di vista sia cinematografico che del botteghino. Ma per i giovani registi di oggi – quelli che cercano un modello non soltanto di successo ma anche di consapevolezza artistica – il maestro americano è e continuerà a essere un punto di riferimento imprescindibile. Una preziosa occasione per ripercorrere la sua carriera e la sua variegata filmografia è rappresentata dall’ottimo documentario “Spielberg – Il Re di Hollywood” (su Sky Documentaries stasera alle 22.50 in streaming su Now e anche on demand), che ci racconta come il suo lavoro sia più personale di quanto possa sembrare a prima vista.
Infanzia, America e Olocausto sono i tre temi principali del documentario diretto da Michaël Prazan, che affida allo spettatore i lati inediti di Spielberg, a partire dal fascino per il terrore. Non una semplice moda ma un lascito del suo percorso di crescita: basti pensare alla paura dell’oceano narrata ne “Lo Squalo” (1975) o al timore legato alle strade desertiche che attraversano l’America al centro di “Duel” (1971). Ma l’evento che più ha lasciato un’impronta nella prima parte della sua esistenza è senza ombra di dubbio la rottura tra i suoi genitori, un avvenimento emerso in maniera timida in “E.T. l’extra-terrestre” (1982) ed esploso con forza in “The Fabelmans” (2022), il suo lavoro più autobiografico e intimo.
Un elemento che spicca nel documentario di Prazan è la visionarietà del celebre regista
Un elemento che spicca nel documentario di Prazan è la visionarietà di Spielberg, ma anche in questo caso dobbiamo tornare alla sfera privata e prendere in considerazione i protagonisti alieni. Il regista di Cincinnati ha rivoluzionato il paradigma di Hollywood, rappresentando gli extraterrestri non più come creature ostili ma come possibili compagni di viaggio. Sia in “Incontri ravvicinati del terzo tipo” (1977) che nel già citato “E.T. l’extra-terrestre”, Spielberg associa queste creature all’amico immaginario sognato quando era bambino. Un collegamento diretto con le difficoltà incontrate a scuola tra la solitudine, il bullismo dei compagni di classe e l’antisemitismo.
Quest’ultimo tema ha innescato la sua consacrazione artistica attraverso “Schindler’s List” (1993): molto più di un film, è quasi una missione, come certificato dalla creazione della fondazione dedicata a conservare le testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto in tutto il mondo. Dal punto di vista artistico, invece, l’opera con protagonista Liam Neeson gli consentì di entrare nell’Olimpo di Hollywood e di assicurarsi dopo tante amare delusioni i primi Oscar al miglior film e alla miglior regia.
L’aspetto forse più interessante di “Spielberg – Il Re di Hollywood” è quello dedicato al fallimento
Ma l’aspetto forse più interessante di “Spielberg – Il Re di Hollywood” è quello dedicato al fallimento. Emblematico il caso de “Il colore viola” (1985), liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Alice Walker: da sempre sensibile alle problematiche delle minoranze e alla persistente discriminazione subita dagli afroamericani, Spielberg decise di realizzare quel lungometraggio anche per ottenere un riconoscimento da parte dei colleghi, in particolare di coloro che lo criticavano perché a loro dire non trattava argomenti ‘seri’. Da qui la necessità di affrontare temi come l’incesto, la violenza domestica, il razzismo e la povertà. Nonostante le undici candidature all’Oscar, la pellicola venne (giustamente) stroncata perché eccessivamente melodrammatica – a partire dall’insopportabile commento sonoro – e persino accusata di diffondere cliché razzisti. Anziché piangersi addosso, pur ferito dalle critiche Spielberg fece un bagno d’umiltà e firmò in seguito altri indimenticabili capolavori.
di Massimo Balsamo
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