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Il gusto della musica DOC

Nel novembre 1987 andava in onda la prima puntata della trasmissione di Renzo Arbore: “D.O.C. (musica e altro a denominazione d’origine controllata)”.
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Nel novembre 1987 andava in onda la prima puntata della trasmissione di Renzo Arbore: “D.O.C. (musica e altro a denominazione d’origine controllata)”.
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Nel novembre 1987 andava in onda la prima puntata della trasmissione di Renzo Arbore: “D.O.C. (musica e altro a denominazione d’origine controllata)”.
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Nel novembre 1987 andava in onda la prima puntata della trasmissione di Renzo Arbore: “D.O.C. (musica e altro a denominazione d’origine controllata)”.
Era il novembre 1987, mese e anno “di passaggio” ma con già qualche vagito del mondo che di lì a poco sarebbe arrivato: il presidente tunisino Habib Bourguiba veniva rovesciato e sostituito dal primo ministro Zine El-Abidine Ben Ali, nella Repubblica Socialista di Romania scoppiava una rivolta operaia prontamente repressa dal governo. Ci si preparava, a nostra insaputa, alla storica stretta di mano tra Reagan e Gorbaciov del dicembre successivo anche se l’accordo, davvero tiepido, al momento era solo sull’eliminazione in Europa dei missili nucleari a gittata media. L’Italia – in piena Milano da bere, Mulino Bianco e “Provare per credere” di Aiazzone – aveva fede solo nella televisione, inghiottiva “consigli per gli acquisti” e musica plastificata. Fuori, Monclaire e vestiti fluorescenti abbruttivano un mondo costretto a divertirsi per forza. Fu allora che all’improvviso, dopo la sortita notturna di “Quelli della notte”, sua maestà “Napoli e Jazz” Renzo Arbore centrò nuovamente il bersaglio. Il format tv, non originale, era tutta sostanza, intensità, calore. Si chiamava “D.O.C. (musica e altro a denominazione d’origine controllata)” ed era un programma con musica esclusivamente dal vivo. No, non pensate ai talent show di oggi, non pensate a Maria De Filippi. Nessuna sceneggiatura, nessuna gara in corso, nessun conflitto emozionale, insulto, competizione. Immaginate piuttosto una scenografia disadorna occupata da cavi elettrici, amplificatori Marshall, microfoni Shure, batterie, bassi e chitarre. Un palco nudo e crudo dove il sudore, un riff di chitarra, un colpo ben assestato al rullante contava più di un primo piano o di un piantolino adolescenziale. Vide finalmente la luce l’Italia che amava la musica “buona”, quella che la cercava nei club, nei locali, negli spazi occupati: si scoprì che il nostro era un Paese pieno di talenti musicali, anzi che pullulava di musicisti autentici, di gran classe, di consumati professionisti con un sentiero musicale già tracciato e l’unico torto di non aver mai avuto, fino ad allora, la luce della ribalta televisiva. A presentare “D.O.C.” lo scatman Gegè Telesforo e Monica Nannini, regia di quella vecchia volpe di Pino Leoni e incursioni del buon foggiano a impreziosire il tutto. L’orario, inconsueto, scrollava il tedio pomeridiano di casalinghe e lavoratori ma soprattutto di giovani e studenti che, grazie a quella trasmissione Rai, si cibarono di musica live facendosi travolgere dalle grandi esibizioni dei primi Litfiba e CCCP, conobbero il genere bluegrass di Stefano Tavernese e grazie a Guido Toffoletti, Stefano “Zamath” Zabeo e Andy J. Forest scoprirono che esisteva in Italia una densa scena blues o il jazz con Roberto Gatto. Ospiti stranieri da brivido: Pat Metheny, i Pogues, Salomon Burke, David Sylvian, Chet Baker. Insomma, il trionfo della musica vera, che nasce da viscere e cervello. La musica che resta e non muore mai. Di McGraffio

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