«Jingle bells, jingle bells, jingle all the way». A ogni benedetto dicembre, con una rincorsa che comincia verso la metà del mese precedente, una litania si leva immarcescibile in televisione: quella dei film di Natale o affini, magari solo vagamente natalizi, tra slitte, Babbi Natale, cattivi che diventano buoni, vischi sulle porte, desideri e pacchi sotto l’albero, fiabe contemporanee a lieto fine, film storici su Betlemme e dintorni, ovviamente di 2021 anni fa.
Ebbene tutto questo si fa – puntualmente – palinsesto della tv generalista, in una sorta di attesa e di crescendo che a confronto i nove mesi di una coppia che aspetta un figlio sembrano una passeggiata. Perché la narrazione del Natale – in un’epoca come la nostra che ha in parte smarrito la fede ma non le sue celebrazioni – è ormai un rito, una pigrizia. Anzi, un’abitudine, come il pandoro o il panettone da mangiare il 25 dicembre.
Per la televisione italiana, il palinsesto natalizio è un girone a parte. La messa in scena di cattiverie e di reality (ma anche di realtà), spesso vere anime di quel che rimane della tv generalista, si frizza nei giorni delle feste per cedere il passo a un fioretto di pochi giorni, per poi ricominciare da capo, con il solito tran tran.
In una sorta di messa laica e logora, un rito che si ripete ogni anno a dicembre e che più che alla serenità delle feste fa pensare alla noia delle solite storie già viste. Parafrasando la battuta di una commedia di Eduardo De Filippo, o presepio della tv non ce piace.
di Aldo Smilzo
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