Il pensiero va verso la libertà
Le immagini del coro del Teatro lirico di Odessa che intona il ‘Va, pensiero’ resteranno indelebili nella mente di molti. Un’aria, questa di Verdi, che riaccende ricordi e dimostra una volta di più di non conoscere il passare del tempo.
Il pensiero va verso la libertà
Le immagini del coro del Teatro lirico di Odessa che intona il ‘Va, pensiero’ resteranno indelebili nella mente di molti. Un’aria, questa di Verdi, che riaccende ricordi e dimostra una volta di più di non conoscere il passare del tempo.
Il pensiero va verso la libertà
Le immagini del coro del Teatro lirico di Odessa che intona il ‘Va, pensiero’ resteranno indelebili nella mente di molti. Un’aria, questa di Verdi, che riaccende ricordi e dimostra una volta di più di non conoscere il passare del tempo.
Da quel 24 febbraio – giorno dell’inizio dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, distante nel tempo pochi giorni che sembrano già lunghi mesi – sono molte le immagini che di questa guerra senza senso, voluta da Putin, rimarranno impresse nella mente. Grazie a Internet, ai telefoni cellulari e a un mondo connesso mai come prima d’ora, filmati e foto non conoscono barriere.
Una delle immagini che difficilmente verranno dimenticate è certamente quella del coro del Teatro lirico di Odessa che intona l’aria del “Va, pensiero”, riunito in piazza sotto la bandiera dell’Ucraina mossa dal vento. Difficile se non impossibile non esser toccati da quelle note e parole che un tempo sentimmo come nostre, anche se nell’opera voce del popolo ebraico, e che ancora una volta hanno dimostrato di non conoscere il concetto di tempo. Il “Nabucco”, che proprio nel marzo di 180 anni fa veniva rappresentato per la prima volta, vedeva il suo nucleo tematico nella prigionia degli ebrei e nella loro oppressione, la stessa che Giuseppe Verdi vedeva per gli italiani prima della tanto agognata unificazione.
L’aria del “Va, pensiero” è nel cuore dell’opera – nella quarta scena del terzo atto – con il popolo ebraico che, sulle rive del fiume Eufrate, intona un canto nostalgico, una preghiera d’amore alla propria patria e a Dio. Fu proprio raccontando questo episodio – raccolto nella Bibbia tra le vicende del re babilonese Nabucodonosor – e usandolo come metafora per il suo popolo, che Verdi e il librettista Temistocle Solera riuscirono a sfuggire alla rigidissima censura austriaca e a rappresentare l’opera a teatro. Il successo fu travolgente e infuocò gli animi degli italiani del tempo, consacrando la musica del Maestro all’eternità. Il fulcro del messaggio dell’opera era senza dubbio raccolto in quell’aria risuonata sabato in piazza a Odessa, ancora una volta per dar voce a un popolo oppresso, invaso e vittima di un’aggressione brutale.
E pensare che furono proprio le parole di quest’aria a spingere un Verdi restio a continuare con la lirica – dopo l’insuccesso del suo secondo lavoro e perché segnato da diversi lutti famigliari – musicando il libretto di Solera. Non si fa fatica a vedere nell’emozione del canto del popolo ucraino, nel sentimento che ne traspare, la stessa forza che doveva esservi 180 anni fa e lo stesso trasporto che infiammò il teatro San Carlo di Napoli nel 1949, nella prima rappresentazione dell’opera dopo la liberazione dal nazifascismo: «Le memorie nel petto raccendi. Ci favella del tempo che fu!».
di Federico Arduini
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