Il pianoforte è una bussola, intervista a Giulia Mazzoni
Parlare con Giulia Mazzoni, pianista e compositrice internazionale, significa entrare in un mondo in cui il pianoforte non è soltanto uno strumento ma una bussola interiore
Parlare con Giulia Mazzoni, pianista e compositrice internazionale, significa entrare in un mondo in cui il pianoforte non è soltanto uno strumento ma una bussola interiore. Il brano che presenterà oggi in concerto al Teatro Regio di Parma nasce proprio da lì: dal bisogno di dare voce a chi la voce l’ha persa. «Il titolo è “404: Woman Not Found”, con riferimento al codice di errore che su Internet indica una pagina non trovata. Per me è diventato un simbolo universale di assenza, di cancellazione. Da qui è partita la metafora delle donne rese invisibili e del peso delle parole nell’era digitale» ci ha spiegato.
La sua riflessione affonda in esperienze personali: «A 18 anni, agli inizi della mia carriera, ho ricevuto minacce di morte, insulti, violenza verbale dai cosiddetti leoni da tastiera. So cosa significa sentirsi colpiti da parole che feriscono come pietre». Dalla lunga esperienza internazionale tra Los Angeles, Firenze e Praga con Tom Russo, la Prague Orchestra e John Axelrod, l’artista di Prato è tornata al pianoforte puro: «lo strumento che guarda dentro», come ama definirlo. «“404: Woman Not Found” è un brano che vuole ricordare chi è stato cancellato, comprese le donne della storia rese invisibili: compositrici, pittrici. Vorrei che nessun essere umano potesse sparire così».
Sul peso delle parole Mazzoni è netta: «Tutto inizia da una parola, anche le dittature. Ognuno ha diritto di esprimersi, ma l’offesa no, non la concepisco: è come lanciare un sasso contro una persona inerme. Dovremmo tutti avere più cura del linguaggio». Tradurre in musica temi tanto profondi è un processo complesso, ma allo stesso tempo naturale: «Io sento la musica sempre. Scrivo partendo da emozioni, immagini. Il pianoforte è come uno psicologo: apre i cassetti della mia anima».
A volte le melodie arrivano all’improvviso, come accadde per “Baires”: «Ero su un bus a Buenos Aires e ho sentito tutto il brano nella testa. L’ho cantato sul telefono e poi l’ho scritto, orchestrazione compresa». La forza comunicativa del linguaggio strumentale – troppo spesso oggi sottovalutata in un mondo dominato dalla parola – è un architrave della sua produzione: «Le note parlano. Io racconto da dove nasce un brano, ma poi chi ascolta deve poterci trovare liberamente il proprio vissuto. La musica strumentale non è astratta: dietro c’è sempre una storia, un’emozione».
Nella sua carriera, accanto alla ricerca artistica, è molto forte anche la componente sociale: «Sono testimonial del progetto “La Toscana delle Donne”, collaboro con il carcere di San Vittore da quando ero giovanissima, ho suonato con le detenute… La musica mi ha fatto esistere come persona e ogni volta che può aiutare qualcuno, io rinasco».
Il suo stile mescola tradizione e contemporaneità senza barriere: «Non provengo da una formazione classica al cento per cento. Ho avuto la fortuna di conoscere Michael Nyman, di crescere nel minimalismo. Per me la contaminazione è naturale: è come avere una tavolozza piena di colori. In passato i compositori non si chiedevano se una musica fosse pop o rock: sentivano una melodia e la scrivevano. Le etichette appartengono a chi ascolta».
A Parma questa sera il pubblico vivrà un concerto-diario, un viaggio personale e condiviso: «Sarà un piano solo che apre cassetti intimi. Porterò brani dei miei album, “404: Woman Not Found” in prima assoluta, omaggi ai miei mondi di riferimento e una mia rielaborazione di “Zombie” dei Cranberries. Conoscevo Dolores O’Riordan, abbiamo suonato insieme: ci tenevo molto a ricordarla».
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- Tag: musica, spettacolo