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Il ritorno di Frankestein Junior, geniale creatura pop

Frankestein Junior torna in sala a 50 anni dall’uscita: ripercorriamo le tappe di uno dei film più pop e iconici che il cinema abbia mai visto

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Il ritorno di Frankestein Junior, geniale creatura pop

Frankestein Junior torna in sala a 50 anni dall’uscita: ripercorriamo le tappe di uno dei film più pop e iconici che il cinema abbia mai visto

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Il ritorno di Frankestein Junior, geniale creatura pop

Frankestein Junior torna in sala a 50 anni dall’uscita: ripercorriamo le tappe di uno dei film più pop e iconici che il cinema abbia mai visto

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Frankestein Junior torna in sala a 50 anni dall’uscita: ripercorriamo le tappe di uno dei film più pop e iconici che il cinema abbia mai visto

Questa storia inizia su un set. Ma a differenza di quanto si potrebbe pensare, non quello del film del quale stiamo per raccontare la genesi ma di un’altra pellicola: “Mezzogiorno e mezzo di fuoco”. L’anno è il 1974 e i protagonisti di questa vicenda sono un attore e un regista. Il primo è Gene Wilder, destinato a divenire uno dei più brillanti interpreti della commedia americana. Il secondo è Mel Brooks, in quel momento già considerato l’uomo che sta rivoluzionando i canoni del genere comico.

Durante una pausa delle riprese, davanti a un caffè, Wilder sottopone a Brooks una sua sceneggiatura. Al centro vi è la rilettura del “Frankenstein” di Mary Shelley. Qui però il protagonista non è lo scienziato che cerca di sconfiggere la morte, bensì un suo discendente che non solo non vuole avere nulla a che fare con il suo antenato, ma addirittura se ne vergogna. Titolo: “Young Frankenstein”. Dopo un iniziale scetticismo, Brooks decide di accettare la sfida. Il progetto viene sottoposto alla Columbia, che però non ne vuole sapere. Qui entra in gioco la figura che fa sì che l’intuizione di Wilder e Brooks prenda forma: si tratta di Alan Ladd Jr., dirigente della 20th Century Fox, che fiuta le potenzialità dell’idea e con grande lungimiranza la fa finanziare. Anni dopo sarà sempre lui a sostenere due progetti inizialmente rifiutati dalle major come “Blade Runner” e “Star Wars”.

Una volta ottenuto il via libera, parte la scelta degli interpreti. Su suggerimento del suo agente, Wilder fa ingaggiare due suoi amici: Marty Feldman, nell’iconico ruolo dell’assistente Igor (che «Si pronuncia Aigor», come recita una celebre battuta del film) e Peter Boyle nel ruolo del mostro. Dietro la macchina da presa, Brooks fa sfoggio della propria visione con continue citazioni delle precedenti versioni cinematografiche di Frankenstein, scegliendo il bianco e nero e arrivando addirittura a utilizzare gli stessi oggetti di scena e le medesime ambientazioni del film originale. Ma la genesi di quello che da noi diverrà noto come “Frankenstein Junior” non è stata priva di tensioni. Brooks e Wilder litigavano spesso per alcuni dettagli della sceneggiatura, eppure furono proprio questi momenti a plasmare il capolavoro che oggi conosciamo. Il resto è cultura pop allo stato puro.

Le battute e le trovate del film, da cinquant’anni a questa parte, sono entrate nel linguaggio collettivo. Da «Lupo ululà, Castello ululì» ai nitriti di terrore dei cavalli ogni qual volta viene nominato il personaggio di Frau Blücher, fra un cervello «Abi norme» e un «enorme Schwanzstück», i dialoghi che hanno contribuito a costruire il mito di “Frankenstein Junior” sono oggetto di continue citazioni. Senza dimenticare iconiche scene come quella del balletto fra lo scienziato e la ‘Creatura’ sulle note di “Puttin’ on the Ritz” di Irving Berlin o lo straordinario cameo di Gene Hackman nel ruolo del non vedente che scambia il mostro per un viandante e lo accoglie nella sua capanna, dando vita a una serie di gag paradossali.

All’uscita nelle sale “Frankenstein Junior” fu accolto con favore sia dalla critica – che apprezzò la rilettura fatta da Brooks – sia dal pubblico, che ne fece sin da subito una pellicola cult. In occasione dei cinquant’anni dall’uscita, il film tornerà nella sale il 29 e il 30 ottobre in versione 4K. Per farci ridere ancora e ricordarci che anche la più folle delle imprese alla fine «Si… può… fare!».

di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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