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Il Sanremo di Cecchetto che volle dimenticare gli anni Settanta

Gli anni Ottanta furono un bene? Furono un male? Semplicemente furono.
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Il Sanremo di Cecchetto che volle dimenticare gli anni Settanta

Gli anni Ottanta furono un bene? Furono un male? Semplicemente furono.
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Il Sanremo di Cecchetto che volle dimenticare gli anni Settanta

Gli anni Ottanta furono un bene? Furono un male? Semplicemente furono.
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Gli anni Ottanta furono un bene? Furono un male? Semplicemente furono.
Nel 1981 l’Italia è un Paese in fase di transizione. Ha da poco attraversato gli anni Settanta, il periodo più creativo, doloroso, politicamente teso della sua storia post-bellica. Un decennio così pregno di impegno, contraddizioni, libertà e oscurità che tanta, tantissima gente ne uscì logora o troppo sazia. Un frangente ricco anche di avanguardie e sperimentazioni, che convivevano pacifiche con becerismo e inventiva trash. Ne fece le spese il Festival di Sanremo che visse in quegli anni il suo periodo di maggiore crisi e oblio. Semi-tumulato dalla Rai, mandato in onda solo in tarda serata, sintetizzato in striminziti servizi dei tg. Chi vi racconterà che il Sanremo del 1978 fu però nobilitato da artisti come Anna Oxa e l’indimenticabile Rino Gaetano non dirà proprio il vero. Pochi allora si accorsero che “Un’emozione da poco” (scritta da Ivano Fossati) fosse una gemma musicale preziosa e Anna Oxa un’artista dalle doti canore straordinarie. Nessuno si accorse che quel buffo menestrello un po’ vintage e un po’ hippie – in grado di far convivere Ionesco e il rockdentro una canzone – fosse una delle menti musicalmente più creative. Si parlò perlopiù del look punk della cantante e del cappello a cilindro e del ‘chitarrino’ (in verità, un ukulele soprano) del cantautore calabrese. E stop. Ma all’improvviso, eccoli… gli anni Ottanta. Il loro ritmo, le luci, l’elettronica leggera e plasticheggiante, quella euforia un po’ artificiale, quel bisogno di scrollarsi di dosso odori e sporcizie di un decennio alla fine invecchiato male. Basta Mike Bongiorni o Nunzi Filogami di turno, basta direttori d’orchestra in frac, è il momento di puntare su qualcosa di diverso, agile, disimpegnato, sempre sorridente: ossia il dj. E dei dj Claudio Cecchetto è l’incontrastato sovrano. La velocità cambia, il mondo sta cambiando. Cecchetto ha una comunicativa spedita, i suoi tempi di conduzione attirano anche i giovani. Viene abolita l’orchestra dal vivo (ma anche quella in playback). Si canta sopra ‘basi’ musicali, genitori designati del karaoke a venire, la scenografia è più avveniristica, da design discotecaro. Tutto questo piace. La Rai ci crede. Sanremo torna in prima serata, torna la diretta. Ed è successo. L’Italia intera ritorna ad autosospendersi nelle more di quell’appuntamento canoro, i giornalisti si eccitano, gli sponsor investono. Si preannunciano giorni felici. Dimenticare i Settanta sembra la parola d’ordine. Ha inizio l’era reaganiana con i walkman, gli hamburger, isynth, Pablito Rossi, la “Milano da bere”, l’Aids e la P2. Vincerà Alice con la canzone “Per Elisa” scritta dal maestro Battiato. Un primo affondo del genio siculo che in quello stesso anno con “La voce del padrone” sbancherà stadi e classifiche. La giuria di qualità, presieduta dal grande Sergio Leone, indicherà invece in “Ancora” cantata da Eduardo De Crescenzo la migliore canzone della rassegna (idea condivisa anche da Gigi Marzullo che qualche decennio dopo se l’accaparrò come sigla della sua trasmissione). Ma i vincitori morali sono i Ricchi e Poveri con “Sarà perché ti amo”. Bene anche Fiorella Mannoia (“Caffè nero bollente”) e Luca Barbarossa (“Roma spogliata”), al loro esordio. Poco prima di congedarsi da un Festival di grande successo, il bravo Cecchetto chiede l’attenzione di tutti gli ascoltatori. Proprio tutti. Sta per lanciare un brano. Preannuncia che, nel decennio che sta per iniziare, verrà ballato e amato da tutti. Il brano è “Gioca Jouer”. Subito primo in classifica. «Dormire, camminare, salutare macho». Benvenuti negli anni Ottanta.     di McGraffio  

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