Dagli anni di piombo al rock, parla Enrico Rovelli
Due figli venuti a mancare troppo presto, il rifugio nel mondo dell’arte, l’amicizia con Bruce Springsteen. Lo storico manager di Vasco Rossi, Enrico Rovelli si racconta
Dagli anni di piombo al rock, parla Enrico Rovelli
Due figli venuti a mancare troppo presto, il rifugio nel mondo dell’arte, l’amicizia con Bruce Springsteen. Lo storico manager di Vasco Rossi, Enrico Rovelli si racconta
Dagli anni di piombo al rock, parla Enrico Rovelli
Due figli venuti a mancare troppo presto, il rifugio nel mondo dell’arte, l’amicizia con Bruce Springsteen. Lo storico manager di Vasco Rossi, Enrico Rovelli si racconta
AUTORE: Ilaria Cuzzolin
«Vasco mi chiamava “il presidente” o “Enriquez”. Giocava a sfilarmi i soldi dalle tasche, diceva che me ne aveva fatto guadagnare un sacco. Vero, però non sa quanti ne ho spesi io per lui» racconta divertito Enrico Rovelli, 79 anni il mese prossimo e una storia di vita che meriterebbe di finire in un libro. Oltre a essere stato lo storico manager di Vasco Rossi (fu lui a portarlo per la prima volta a San Siro), ha curato gli interessi di Pino Daniele, Adriano Celentano, Renato Zero, Claudio Baglioni, Marco Masini, Anna Oxa e tanti altri. Ha inoltre organizzato i concerti in Italia di Bruce Springsteen, dei Queen, di David Bowie e degli U2.
Tanti gli incontri fortunati, ma anche un destino crudele: il figlio Billy è morto di overdose a soli 29 anni mentre l’altro, Davide, è scomparso in un incidente mortale a 44. Come si sopravvive a tragedie del genere? «Provando a contenere tutto questo dolore con l’arte», il suo primo amore. Rovelli nasce infatti pittore, scultore e scenografo (tanto che dei suoi artisti curava anche le locandine), passione che ha riscoperto negli ultimi anni. Nella mostra “Mille Volti” ha raccolto opere che raccontano luci e ombre della sua storia.
Fondatore del primo canale all music in Italia (poi diventato VideoMusic) e di Radio Music 100 (poi Radio Deejay), sono stati suoi anche locali storici di Milano: il Rolling Stone («Quando ho saputo della sua chiusura, ho pianto»), l’Alcatraz e il City Square, anche se quello che cita più spesso è il Carta Vetrata di Bollate, alle porte del capoluogo. «Ci veniva anche il boss della Comasina Renato Vallanzasca. Non gli piaceva la musica che facevamo, ma non ho mai avuto problemi con la malavita perché non facevo discoteche normali, facevamo rock e loro amavano i nightclub».
Siamo a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, la strage di Piazza Fontana è ancora fresca e il commissario Luigi Calabresi individua in Rovelli l’uomo giusto per ‘studiare’ il mondo degli anarchici, ambienti che all’epoca frequentava: «Il mio nome in codice era Anna Bolena. Stetti al gioco perché a vent’anni avevo già due figli, ma se avessi procurato dei casini ai miei compagni le assicuro che oggi non sarei qui».
È dagli inglesi che ha imparato a fare le cose per bene: «Da loro comprai attrezzature che qui nessuno aveva. Ero l’unico in Italia ad avere tre palchi». In questo modo si conquista la fiducia internazionale e il salto ai cantanti stranieri è pressoché obbligato. Quando gli chiediamo dell’artista che più l’ha colpito, non ha dubbi: «Bruce Springsteen, una persona rimasta umile. Con lui feci tutta la tournée del 1987, diventammo amici».
Qualcosa del Bruce privato? «Ho visto cose che non si possono raccontare» sorride divertito. «Diciamo che ho trovato qualche mutandina in giro per il camper. Le donne degli artisti sono disposte ad accettare un po’ tutto, mentre quelle che vorrebbero finire a letto con loro sono disposte a tutto. Le dico solo che farsi trovare a letto nude nella camera d’albergo è la base». A proposito di nudità, ricorda ancora quella volta in cui Lou Reed salì completamente svestito su un’enorme cassa a lato del palco. Roba da far sembrare i Måneskin dei chierichetti.
Dei tanti artisti che ha seguito, Rovelli indica in Fabrizio Moro quello più sottovalutato: «Sicuramente meriterebbe di più. Poi Marco Masini, che si è risollevato ma voleva quasi farla finita da quanto stava soffrendo. Infine Fabio Concato: simpaticissimo per carità, ma lui è uno con la borsetta da impiegato, uno da famiglia e per fare questo lavoro bisogna annullarsi completamente».
Di Ilaria Cuzzolin
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche
Robert Redford, l’immortale
16 Settembre 2025
È immortale. Questo dovrebbe rincuorarci. Ci lascia uno degli attori più importanti della storia…
Robert Redford, l’America del sogno più puro – IL VIDEO
16 Settembre 2025
Robert Redford con Paul Newman, nella iconica scena finale di Butch Cassidy. Specchio, se ce n’è s…
Premio Tenco 2025: a Goran Bregovic e Daniele Silvestri i riconoscimenti alla carriera
16 Settembre 2025
Annunciati i primi vincitori del Premio Tenco 2025: il Direttivo del Club Tenco ha scelto di asseg…
Morto Robert Redford, l’idolo del cinema aveva 89 anni
16 Settembre 2025
Robert Redford è morto: l’idolo del cinema di fama internazionale si è spento all’età di 89 anni
Iscriviti alla newsletter de
La Ragione
Il meglio della settimana, scelto dalla redazione: articoli, video e podcast per rimanere sempre informato.