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Squallor

Irripetibili Squallor

Trent’anni fa l’ultimo album del gruppo italiano più irriverente di sempre, gli “Squallor”, una band di talento straordinario che non si è mai divisa

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Irripetibili Squallor

Trent’anni fa l’ultimo album del gruppo italiano più irriverente di sempre, gli “Squallor”, una band di talento straordinario che non si è mai divisa

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Irripetibili Squallor

Trent’anni fa l’ultimo album del gruppo italiano più irriverente di sempre, gli “Squallor”, una band di talento straordinario che non si è mai divisa

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Trent’anni fa l’ultimo album del gruppo italiano più irriverente di sempre, gli “Squallor”, una band di talento straordinario che non si è mai divisa

Il sax di Gianni Oddi sparge le prime note, melodiche, brillanti, riconoscibili al primo ascolto. Un assolo breve, una citazione irridente del successo “Raindrops Keep Fallin’ on My Head”, poi una voce che irrompe col noto inciso: «Miss… simme jute a fernì ’nto ciess». E all’improvviso sta per succedere qualcosa di incredibile: per la prima volta nella loro dissacrante storia musicale, gli Squallor entrano nella top ten di una classifica italiana. L’album è “Mutando”, la canzone “Cornutone”. È il 1981, sono passati dieci anni dall’inizio della loro affascinante avventura musicale (“38 Luglio”, il loro primo singolo, risale al 1971).

Gli Squallor non sono una band qualsiasi, ma un vero supergruppo: Totò Savio (napoletano, compositore, arrangiatore e anima musicale del progetto), Giancarlo Bigazzi (fiorentino e super paroliere), Daniele Pace (milanese, autore e voce stentorea con tanto di erre moscia), Alfredo Cerruti (napoletano, autore e voce calda per antonomasia) ed Elio Gariboldi (andato però via l’anno successivo). Tutti autori affermati, con produzioni di successo alle spalle e con uno stuolo di cantanti debitori – e debitrici – verso la loro penna e il loro genio artistico. Autori e produttori consumati che però sentono l’esigenza di fare qualcosa di diverso, di spiazzare, di deformare l’humus artistico italico sempre un po’ prevedibile – o comunque timoroso e discreto – e smaniosi di aprire una bolla di respiro artistico che i palinsesti ufficiali della musica italiana tendono a soffocare.

Gli Squallor si danno appuntamento sempre sul tardi negli studios milanesi o romani. Il piano creativo è semplice: massima libertà per tutti. Ciascuna session verrà preceduta da una riunione (sempre notturna) in cui si decidono solo i titoli delle canzoni. Ciascuno avrà a disposizione una settimana per farsi venire qualche idea, il resto sarà improvvisazione pura. Totò Savio prepara gli arrangiamenti, scrive personalmente le partiture da dare ai sessionmen. Poi un giro di whisky J&B (Alfredo Cerruti) o diverso superalcolico (gli altri membri), coltre di nicotina nell’aria ed è tutto pronto. Quello che succede in sala è uno spettacolo nello spettacolo: gag, risate, errori, sproloqui, creatività al massimo e linguaggio che vuole rompere gli argini dell’accettabilità istituzionale e del conformismo. Storie surreali, grevi e un linguaggio che non ha paura di dire cose disturbanti. “Palle”, “Troia”, “Pompa” e “Cielo Duro” sono solo alcuni dei titoli più famosi di album che non avranno mai l’appoggio di televisioni, radio istituzionali o giornali a grande tiratura e, per questo, apparentemente destinati all’oblio. Ma si mette presto in moto il meccanismo comunicativo più potente di sempre: il passaparola. Oggi si parlerebbe di influencer e gli influencer di allora erano due: le radio libere e i venditori di dischi, questi ultimi veri e propri fari luminosi per chi chiedeva sempre novità meritevoli di ascolto.

La voce si sparge e canzoni come “Berta”, “A chi lo do stasera?”, “O tiempo se ne va” si infilano nei camion, nelle camerette dei giovani, vengono considerate da ogni ascoltatore un piccolo tesoro occulto che va subito condiviso. E il successo è inarrestabile. Canzoni che ormai sono dei cultfan che conoscono a menadito ogni frase, ogni monologo di questo incredibile e unico fenomeno chiamato Squallor. Una band di talento straordinario che non si è mai divisa se non «per volontà divina», come disse Cerruti (precoci le morti di Pace e Savio). Che ha sfornato l’ultimo album trent’anni fa (dal titolo “Cambiamento”). E che ci lascia la sensazione sgradevole che oggi – in tempi di talent e di playlist blindate – un’esperienza del genere non sarà più ripetibile.

di McGraffio

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