Janis Joplin, “Buried Alive in the Blues”
Gli ottant’anni della leggendaria Janis Joplin, una voce che fu icona e rivoluzione
Janis Joplin, “Buried Alive in the Blues”
Gli ottant’anni della leggendaria Janis Joplin, una voce che fu icona e rivoluzione
Janis Joplin, “Buried Alive in the Blues”
Gli ottant’anni della leggendaria Janis Joplin, una voce che fu icona e rivoluzione
Gli ottant’anni della leggendaria Janis Joplin, una voce che fu icona e rivoluzione
4 ottobre del 1970. In una delle centrali di polizia di Los Angeles arriva una chiamata: un decesso su cui indagare, pare una giovane ragazza. Nulla di diverso da tante chiamate per la travagliata “Città degli angeli” del tempo. Quello che la polizia non poteva sapere, però, è che si sarebbe trovata davanti al corpo senza vita di Janis Lyn Joplin, nella stanza 105 del “Landmark Motor Hotel” di Los Angeles. Overdose di eroina, questo sarebbe stato l’esito dell’autopsia.
Janis se n’era andata poco prima di veder pubblicato il suo secondo e ultimo lavoro in studio, “Pearl”, registrato tra il luglio e quel maledetto giorno di ottobre del ‘70. Una carriera fulminante durata meno di 8 anni, a seconda di quale momento si prenda come punto di partenza. Un battito di ciglia rispetto a quella di altre icone del rock, a lei pari in grandezza ma dalle carriere ben più lunghe e vissute.
Janis Joplin era nata il 19 gennaio a Port Arthur in Texas, 80 anni fa. Si avvicinò al blues ancor prima di finire il liceo, rapita da quelle sonorità e da quel mondo che sarebbe diventato parte integrante della sua vita. La musica era un porto sicuro, un luogo dove rifugiarsi, per lei così diversa dagli altri, nella personalità e nel carattere, ma soprattutto nella sua fragilità. Forse potrebbe sembrare assurdo a vederla nei suoi anni migliori, sui palchi più importanti dell’epoca – da Monterey ’67 fino a Woodstock ’69 – con quella presenza scenica unica e dirompente, con quel talento cristallino che faceva sembrare semplice quello che per molti sarebbe irraggiungibile in una vita intera.
Una personalità a tal punto travolgente da far fuggire alle proprie avance un giovane Bruce Springsteen (un altro che di carattere ne ha sempre avuto da vendere), perché spaventato da quel concentrato di libertà e potenza che si cristallizzava in una voce unica, capace d’esser leggera come una piuma o bruciarti come un incendio. Già, quella voce. Forse è proprio scavando dentro quel timbro divenuto leggenda e modello, quel turbinio di emozioni e mondi, che si potrebbe scovare una traccia della Janis dietro all’icona, dei demoni con cui combatté fino alla fine dei suoi giorni. Le droghe, ma soprattutto l’alcol, divennero compagni di viaggio a cui fu sempre più difficile negare un passaggio.
Proprio il giorno della sua morte avrebbe dovuto cantare un ultimo brano per l’album “Pearl”, che è rimasto incompiuto ed è presente nel disco solo in versione strumentale: “Buried Alive in the Blues”, “sepolta viva nel blues”. Un titolo per un’intera esistenza.
di Federico ArduiniLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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