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Joe D'Amato

Joe D’Amato fu molto più che un regista porno

Venticinque anni fa ci lasciava Aristide Massaccesi, meglio conosciuto come Joe D’Amato. Dedicò la sua vita al grande schermo, tra sperimentazione e innovazione

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Joe D’Amato fu molto più che un regista porno

Venticinque anni fa ci lasciava Aristide Massaccesi, meglio conosciuto come Joe D’Amato. Dedicò la sua vita al grande schermo, tra sperimentazione e innovazione

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Joe D’Amato fu molto più che un regista porno

Venticinque anni fa ci lasciava Aristide Massaccesi, meglio conosciuto come Joe D’Amato. Dedicò la sua vita al grande schermo, tra sperimentazione e innovazione

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Venticinque anni fa ci lasciava Aristide Massaccesi, meglio conosciuto come Joe D’Amato. Dedicò la sua vita al grande schermo, tra sperimentazione e innovazione

L’etichetta è uno dei più grandi mali dell’arte. Una carriera viene spesso giudicata in base a un periodo, a un film, se non a una dichiarazione controversa. Il nadir del buonsenso. Venticinque anni fa ci lasciava Aristide Massaccesi, meglio conosciuto come Joe D’Amato, ma la stampa nostrana non riservò la giusta e meritata attenzione all’addio di un grande maestro di cinema, soffermandosi quasi soltanto sulle sue scorribande nel mondo del porno. Produttore, regista, autore, elettricista, operatore e direttore della fotografia: una vita per il grande schermo tra sperimentazione e innovazione, senza mai risparmiarsi.

Non è un caso che ancora oggi tanti giovani cineasti considerino Joe D’Amato come un punto di riferimento, emblema di ricerca e di passione. «Quello che abbiamo sempre cercato di fare è stato dare al pubblico quello che il pubblico voleva. Con passione ed entusiasmo. E senza un filo d’ipocrisia» era il mantra di D’Amato, uomo dai mille pseudonimi con centinaia di film realizzati. Classe 1936, romano doc, mosse i primi passi da giovanissimo grazie al padre (apprezzato capotecnico) e arrivò a lavorare dietro la macchina da presa come aiuto regista di Jean-Luc Godard per “Il disprezzo” e come operatore alla macchina di Michele Lupo per “Concerto per pistola solista”. L’esordio nel 1972 con “Scansati… a Trinità arriva Eldorado”, uno spaghetti western comico firmato dal produttore Diego Spataro (come gli altri due film successivi). D’Amato iniziò a girare cinque-sei film all’anno, spesso alternando una pellicola di giorno e l’altra di notte, sempre con gli stessi attori; ritmi impressionanti anche per colleghi iper prolifici come Jess Franco e Woody Allen. Uno dei suoi tratti distintivi fu la capacità di spaziare fra i generi, spesso all’interno dello stesso film: dagli spaghetti western al ‘decamerotico’, passando per l’horror granguignolesco e il porno estremo. Basti pensare a “Emanuelle e Françoise”, realizzato nel 1975, un thriller erotico con alcune scene di cannibalismo.

Il grande successo arrivò a metà anni Settanta con “Emanuelle nera – Orient Reportage”, sequel di “Emanuelle nera”: D’Amato diresse altri quattro film e trasformò la serie in un successo. Un mix di avventura, erotico e cannibal movie, con lo straordinario contributo dell’attrice indonesiana Laura Gemser. D’Amato non si pose limiti, rifiutò il compromesso sfruttando l’ondata di liberazione sessuale e il progressivo indebolimento della morsa della censura. Certo non mancarono le denunce per associazione a delinquere finalizzata alla pornografia, ma il cineasta tirò dritto e alla fine degli anni Settanta optò per la svolta gore: da “Buio omega” a “Rosso sangue”, esplosioni di sangue apprezzatissime dagli amanti del genere. O ancora “Antropophagus”, cannibal movie metropolitano con sequenze non adatte ai più sensibili ma anche con una fotografia suggestiva, degna del grande cinema.

Il porno rimase sempre sullo sfondo, non tanto per passione quanto per interesse: grazie ai soldi guadagnati con le pellicole hot aveva la possibilità di realizzare nuovi film horror e thriller con la sua Filmirage, più una factory che una casa di produzione. E il D’Amato produttore è sempre stato poco celebrato, purtroppo: fu lui a lanciare Michele Soavi e Claudio Fragasso, a scommettere sul maestro del poliziottesco Umberto Lenzi e a rendere possibile l’ultimo film dell’indimenticabile Lucio Fulci, “Le porte del silenzio”. Un artigiano a tutto tondo: oltre il porno c’è di più, molto di più.

Di Massimo Balsamo

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