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Il combat-Rock di Joe Strummer

Sono trascorsi vent’anni dalla morte improvvisa e inaspettata del leader dei Clash John Graham Mellor, un artista di grande valore, che segnò la storia della musica.
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Il combat-Rock di Joe Strummer

Sono trascorsi vent’anni dalla morte improvvisa e inaspettata del leader dei Clash John Graham Mellor, un artista di grande valore, che segnò la storia della musica.
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Il combat-Rock di Joe Strummer

Sono trascorsi vent’anni dalla morte improvvisa e inaspettata del leader dei Clash John Graham Mellor, un artista di grande valore, che segnò la storia della musica.
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Sono trascorsi vent’anni dalla morte improvvisa e inaspettata del leader dei Clash John Graham Mellor, un artista di grande valore, che segnò la storia della musica.
Ci ha lasciati vent’anni fa. Il nastro del tempo scorre davvero veloce. Il suo vero nome era John Graham Mellor, nato per caso in Turchia e figlio di un diplomatico inglese. Da bambino si trovò, quindi, a girare tanto per il mondo (Germania, Messico, Turchia, Egitto), un fattore decisivo per la formazione dei mondi che avrebbero frequentato le sue future canzoni. Altro ingrediente importante: un solco profondo di dolore incasellato nell’animo causato dal suicidio del fratello maggiore. Una morte mai accettata che, come un fantasma, l’accompagnerà per tutta la vita. Come ogni punk che si rispetti, aveva adottato un nome di battaglia: Strummer. Ossia strimpellatore. Non era un bravo chitarrista, in verità non era neanche un punk della prima ora. La sua vocazione era quella da rocker e squatter e la band con cui aveva raccolto i primi consensi locali – i 101’ers – macinava rock’n’roll primordiale con testi imbottiti di donne, auto e giubbotti con le borchie. Poi arrivò il punk e tutta una generazione di giovani semplicemente mutò pelle. La parola strummer designa non solo un modo di suonare uno strumento ma anche l’inclinazione a tessere storie, rammendare con la scrittura ritagli di umanità e piccoli e significativi episodi di vita quotidiana. La lettura di George Orwell lo ispira. Joe scrive su carta, pacchetti di sigarette, fazzoletti e incarti di chewing gum. Le sue tasche si riempiono di storie grondanti ribellione. Poi l’incontro con Mick Jones e Paul Simonon grazie alla mediazione del produttore Bernard Rhodes e, signore e signori, ecco a voi i Clash, una delle avventure rock più potenti, entusiasmanti, creative e combattive della storia della musica popolare. “Rock the Casbah”, “Should I Stay or Should I go”, “London Calling”, “London Burning”, “Radio Clash”, “The Guns of Brixton”, “Jimmy Jazz” sono solo alcuni dei brani che la formazione capitanata dal buon Joe portò al successo planetario. A proposito dei Clash si è sempre parlato di un rock politicizzato e album come “Give ‘em enough rope”, “Sandinista”, “Combat rock” sono intrisi di riferimenti, idee, proclami socialisti. C’è però da dire che la penna di Joe non si azzardava a concettualizzare, teorizzare, approfondire. Le sue liriche, piuttosto, volevano essere un lascito emotivo, un appiglio, un bandolo da cui le nuove generazioni potevano attingere per sviluppare proprie idee o posizioni. Le musiche composte dal chitarrista Mick Jones si incastravano alla perfezione con l’esuberanza, l’energia, la policromia della scrittura di Joe. Ecco perché, dopo la fase più strettamente punk, le canzoni dei Clash salparono su generi multiformi e globali come reggae, funky, rap, psichedelia, calypso, elettronica. In tal senso, hanno ragione quei critici musicali che indicano in Joe Strummer uno degli inventori della World Music. È lui che, a differenza di molti suoi colleghi, non s’imprigiona in un talebanismo rockettaro e apre a generi più “village” come l’eurotrance, la techno, l’house music, la cumbia. È lui a seguire di persona (con tanto di tenda e sacco a pelo al seguito) i primi rave party, considerandoli straordinari esempi di comunitarismo. Anche dopo la parabola coi Clash e la nascita del progetto coi Mescaleros, Joe Strummer continua a volgere lo sguardo ai problemi sociali, alla gente comune, ai perdenti. Dicono che pianse come un bambino disperato quando vide, durante la guerra nel Golfo, i soldati americani decorare le bombe dell’aviazione con la scritta “Rock the Casbah”. Recitò in qualche film di culto (“Mystery Train” su tutti) e per un periodo non breve si rifugiò in Spagna, lasciandosi un po’ andare: «Sento che mio fratello si trova qui» disse in lacrime a un amico. Poi nel 2002 la morte – improvvisa e inaspettata – per una malformazione cardiaca congenita. A soli 50 anni. Mi accorgo solo ora che ne sono trascorsi ben 38 da quando un giovanissimo me stesso lo vide suonare al Vigorelli di Milano con i Clash. Era il 1984. Lo stesso anno che dà il titolo al famoso romanzo di George Orwell, l’autore che influenzò di più la sua scrittura e la sua visione del mondo. Ciao Joe. di Mc Graffio

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