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“Joker: Folie à Deux”, danza tra follia e realtà

Neanche la follia riesce a stare da sola. Nel secondo capitolo della saga, Todd Phillips mette in scena “Joker:Folie à Deux”

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“Joker: Folie à Deux”, danza tra follia e realtà

Neanche la follia riesce a stare da sola. Nel secondo capitolo della saga, Todd Phillips mette in scena “Joker:Folie à Deux”

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“Joker: Folie à Deux”, danza tra follia e realtà

Neanche la follia riesce a stare da sola. Nel secondo capitolo della saga, Todd Phillips mette in scena “Joker:Folie à Deux”

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Neanche la follia riesce a stare da sola. Nel secondo capitolo della saga, Todd Phillips mette in scena “Joker:Folie à Deux”

Neanche la follia riesce a stare da sola. Nel secondo capitolo della saga, Todd Phillips mette in scena “Joker:Folie à Deux”. Il titolo si ispira alla patologia scoperta nel 1877 dagli psichiatri francesi Lasègue e Falret, in cui la psicosi si trasmette da una persona a un’altra. A recitare in questa danza delirante a due, insieme ad Arthur Fleck alias Joker (interpretato da Joaquin Phoenix), c’è Harleen Quinzel, meglio nota come Harley Quinn (interpretata da Lady Gaga). Se il primo “Joker” (Leone d’Oro a Venezia) era ispirato alle atmosfere di “Taxi Driver” create da Martin Scorsese, questo sequel si allontana dalla New Hollywood e cerca di esplorare il delirio e la dissociazione mentale attraverso i colori e i ritmi del musical. Ma soprattutto attraverso una storia d’amore che diventa una via per un rapporto ambiguo e tossico, che scivola nell’esaltazione della percezione dell’altro solo per quello che rappresenta.

Arthur e Harley si conoscono a un corso di musicoterapia di Arkham, il manicomio criminale di Gotham. Lui è in custodia cautelare per aver commesso cinque omicidi (in realtà sono sei, ma la polizia non lo sa). Vive una vita di umiliazioni, scherno e isolamento. La polizia penitenziaria lo tratta con un’ironica brutalità. Dentro quelle mura lui è solo Arthur, non quel Joker che ha innescato la miccia per le violente sommosse in città. Il suo avvocato Maryanne Stewart (l’attrice Catherine Keener) cerca di fargli riconoscere l’infermità mentale per la dissociazione tra Arthur e Joker, l’unico modo per evitargli la pena di morte richiesta dal procuratore Dent (l’attore Harry Lawtey). Ad Arkham, Arthur e Harley si ritrovano in un abbraccio viscoso e surreale d’amore, musica e follia. La pellicola diventa quindi una coreografia in cui realtà e fantasia s’intrecciano, dando vita a uno show con momenti di crudo dramma.

Sullo sfondo della relazione tra i due va in scena la contemporaneità. Il regista e il co-sceneggiatore Scott Silver fanno riferimento al movimento Anonymous, all’omicidio di George Floyd e all’assalto a Capitol Hill. Il manicomio e il tribunale di Gotham diventano così un microcosmo della società. A differenza di questa realtà grigia e dominata dai toni spenti, nella composizione onirica di pensieri ed emozioni dei due protagonisti tutto è scintillante, colorato, perfettamente coreografato in un gioco visivo che esalta la dissociazione. La psiche è il palcoscenico. Hildur Guðnadóttir, autrice della colonna sonora del primo film, combina brani noti (come “That’s Entertainment!” da “Spettacolo di varietà” con Fred Astaire e Cyd Charisse) con tracce originali.Nonostante le premesse, il film non riesce ad andare oltre la patina del varietà. Il tema psicologico su cui si basa l’intera trama e quello del carcere teatro degli eventi risultano pretesti estetici per uno show sì divertente, ma che non smuove le emozioni se non in superficie. I momenti più centrati sono come al solito quelli comici, di cui gli ammiratori di Phillips possono godere tra le righe. Come nel primo “Joker”, Phoenix è alla meravigliosa guida di un’opera che gli sta stretta. Ma tra proteste carcerarie sulle note di “When the Saints Go Marchin’ in”, schiaffi e canti insieme alle guardie, questo musical sovversivo sembra voler dire che «tutto quello che può accadere nella vita, può accadere in uno show». Sperando che il prossimo sia di nuovo una commedia

di Edoardo Iacolucci

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