La dolce Carolina che appartiene a tutti
“Sweet Caroline”, l’inno di Neil Diamond, viene oggi cantato dai tifosi di ogni sport. Il popolo americano ha un’incredibile capacità di trasformare la cultura in un monumento.
La dolce Carolina che appartiene a tutti
“Sweet Caroline”, l’inno di Neil Diamond, viene oggi cantato dai tifosi di ogni sport. Il popolo americano ha un’incredibile capacità di trasformare la cultura in un monumento.
La dolce Carolina che appartiene a tutti
“Sweet Caroline”, l’inno di Neil Diamond, viene oggi cantato dai tifosi di ogni sport. Il popolo americano ha un’incredibile capacità di trasformare la cultura in un monumento.
“Sweet Caroline”, l’inno di Neil Diamond, viene oggi cantato dai tifosi di ogni sport. Il popolo americano ha un’incredibile capacità di trasformare la cultura in un monumento.
Neil Diamond racconta di aver visto in tv la figlia del presidente Kennedy, nel 1969, festeggiare sorridente il proprio compleanno, cavalcando di fronte alla famiglia. Il cantautore newyorkese è appena uscito dal divorzio con la prima moglie ed è felicemente innamorato di Marsha, che lavora negli studi di registrazione dell’Atlantic. Diamond è già famoso, ha alle spalle tre canzoni nella Top Ten e sta preparando un disco nuovo.
Racconta di aver visto quella ragazzina sorridere di fronte alla sua adolescenza, felice di quel momento nonostante l’orrore che aveva alle spalle, e di essersi sentito ispirato a scrivere un testo sulla felicità e sulla fiducia nel futuro. Quello di Caroline Kennedy e il suo. La canzone diventa parte della scaletta usuale dei concerti. Ma accade qualcosa di unico. La squadra di baseball newyorkese dei Red Sox fa suonare il brano nelle pause di gioco e il pubblico, spontaneamente, inizia a gridare in coro «po-po-poo» e «so good-so good» nelle pause con cui è stato costruito il ritornello. Nessuno ricorda più quando tutto ciò sia iniziato.
Si sa solo che, negli anni Novanta, l’uso di “Sweet Caroline” per festeggiare la propria squadra di baseball, di hockey e di football americano si è estesa a diverse città americane, intonata dopo l’inno nazionale che, tradizionalmente, apre le partite dello sport professionistico Usa. La canzone è una marea inarrestabile. In quasi tutte le università americane e canadesi i laureandi iniziano a cantarla in coro durante la cerimonia della consegna dei diplomi.
“Sweet Caroline” sbarca in Europa e diviene il coro dei tifosi di diverse squadre di calcio – una su tutte la nazionale dell’Irlanda del Nord che, contro ogni pronostico, si è qualificata per la fase finale della Coppa Europa del 2016. Nel 2013, dopo l’attentato alla Maratona di Boston, Neil canta la canzone alla cerimonia in memoria dei caduti e dona le royalty future alla fondazione per le vittime degli attentati. Oltre mezzo secolo dopo la sua pubblicazione, la canzone continua infatti a vendere decine di migliaia di copie all’anno. Nei concerti lui però non la canta più: l’ultima volta è stata al cinquantesimo compleanno di Caroline Kennedy, tra la commozione di tutti.
Non ho grande simpatia per l’America, ma devo ammettere che il suo popolo ha un’incredibile capacità di trasformare la cultura in un monumento e di farlo cantando tutti insieme per celebrare il proprio straordinario senso di appartenenza. Non è nazionalismo, come in Europa, ma qualcosa di più: una sensazione vera di fratellanza che ci insegna qualcosa di utile, come dimostrano i meravigliosi cori che salutano la squadra di calcio della Roma che scende in campo e che, nonostante la proibizione della Federcalcio, provocano oramai un ritardo del fischio d’inizio, fin quando i romanisti non abbiano finito di cantare la gioia di essere tali.
di Paolo Fusi
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Tag: musica
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