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La musica non ha un posto fisso, parla Raphael Gualazzi

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Abbiamo incontrato Raphael Gualazzi, pianista con l’animo jazz, qualche giorno dopo l’annuncio del nuovo disco di inediti “Dreams”, in uscita il 6 ottobre. Le sue parole
Raphael Gualazzi

La musica non ha un posto fisso, parla Raphael Gualazzi

Abbiamo incontrato Raphael Gualazzi, pianista con l’animo jazz, qualche giorno dopo l’annuncio del nuovo disco di inediti “Dreams”, in uscita il 6 ottobre. Le sue parole
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La musica non ha un posto fisso, parla Raphael Gualazzi

Abbiamo incontrato Raphael Gualazzi, pianista con l’animo jazz, qualche giorno dopo l’annuncio del nuovo disco di inediti “Dreams”, in uscita il 6 ottobre. Le sue parole
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Quando si osserva un artista suonare, quando lo si ascolta, capita spesso di domandarsi quale sia stata l’origine dell’unione con il suo strumento, la prima volta in cui è stato chiaro sarebbero stati inseparabili. Nel caso di Raphael Gualazzi, pianista con l’animo jazz dal talento purissimo, quel momento ha una collocazione precisa nel tempo: «Avevo 14 anni e ho sentito suonare un mio carissimo amico. Lì ho capito come si suonava veramente il pianoforte, quanta dedizione c’era dietro» ci racconta. «Poi ho avuto il mio primo riscontro sorprendendo a un saggio con uno studio di Chopin. Così ho deciso di fare il pianista. A volte non andavo a scuola per andare in conservatorio a suonare». Abbiamo incontrato Raphael qualche giorno dopo l’annuncio del nuovo disco di ineditiDreams”, in uscita il 6 ottobre: «Celebra la dimensione e l’importanza dei sogni che possono essere di diverso tipo ma ognuno ha la sua funzione, il suo effetto nella nostra esistenza. E ci aiutano a scoprire quello che accade dentro di noi per entrarci in armonia, piuttosto che puntare il dito verso quello che accade fuori». Il disco valorizza in tutte le sue forme la bellezza degli strumenti musicali – «l’armonia acustica che c’è fra loro, anche soltanto nel semplice dettaglio di un suono di batteria» – ed è stato anticipato dal singoloVivido il tramonto”. Un brano nato in Inghilterra nel 2013. «È una canzone onirica dentro la quale coabitano atmosfere vivaldiane, alcune sonorità del Cinquecento ma anche elementi riconducibili alla danzón cubana là dove il flicorno suona il tema». È evidente quanto Raphael sia aperto alla contaminazione fra generi, quanto non si limiti a strade già battute: «Io credo che nella storia ci sia un fil rouge che unisce le melodie. Siamo tutti eredi di un bellissimo passato, di una grande tradizione e di potenti suggestioni che hanno fatto parte delle emozioni delle persone. Il fatto che si possa raccontare un brano attraverso diversi generi testimonia che la musica non ha un posto fisso, statico. Non ci sono dei limiti per una melodia». Lo prova anche il fatto che una musica eseguita dal vivo non sia mai uguale alla volta prima in cui la si è sentita. Una magia che ha preso forma ancora una volta nel concerto di Raphael di domenica scorsa ad Ascoli Piceno nella cornice di “Linus – Festival del fumetto” con un set (a proposito di contaminazioni) pensato proprio per questa forma d’arte. Prima di salutarlo gli chiediamo un’opinione sull’intelligenza artificiale: «Se parliamo di musica vera, nella condizione vulnerabile umana mai uguale a sé stessa, credo che non esisterà mai un’intelligenza artificiale abbastanza dignitosa da esser capace di darle vita. Arriverà a imitarla in maniera eccellente, a creare delle emozioni confezionate, precotte. Ma niente riuscirà a mettere le catene alla musica dal vivo, al senso di libertà e unicità che questa racconta quando si parla di esseri umani, unici e importanti. Preziosi».   di Federico Arduini

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