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“La Stella dei Desideri”, un musical per educare all’inclusione

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Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la direttrice artistica dell’Associaizone Milleunavoce, Vicky Martinez, creatrice del musical “La Stella dei Desideri”

“La Stella dei Desideri”, un musical per educare all’inclusione

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la direttrice artistica dell’Associaizone Milleunavoce, Vicky Martinez, creatrice del musical “La Stella dei Desideri”

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“La Stella dei Desideri”, un musical per educare all’inclusione

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la direttrice artistica dell’Associaizone Milleunavoce, Vicky Martinez, creatrice del musical “La Stella dei Desideri”

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Il 28 aprile, alle ore 20.30, all’Auditorium San Pio X di Roma andrà in scena “La Stella dei Desideri”, il primo musical pensato per educare all’inclusione. Lo spettacolo, già sold out, sarà preceduto da un’anteprima dedicata alle scuole, alle ore 10.30, anch’essa completamente esaurita.
L’intero ricavato sarà devoluto all’Associazione Italiana Sindrome di Moebius Onlus (A.I.S.Mo.), impegnata nella promozione della ricerca scientifica sulla sindrome di Moebius, una rara patologia conosciuta come la “malattia del sorriso”, che comporta la paralisi dei nervi facciali, impedendo di sorridere..

Il musical nasce da un’idea di Vicky Martinez, coreografa, ballerina internazionale e direttrice artistica dell’Associazione Milleunavoce. Da quasi dieci anni, Milleunavoce accoglie giovani appassionati d’arte in un ambiente inclusivo, promuovendo empatia, rispetto reciproco e partecipazione, senza alcuna distinzione di etnia, cultura, sesso, religione o identità.

“La Stella dei Desideri” racconta una favola dedicata ai bambini affetti dalla sindrome di Moebius, con protagonista Giulia, un’adolescente affetta dalla sindrome che, presa in giro per il suo aspetto, ha finito per non non credere più nei propri sogni. Attraverso questa storia, che si svolge su due piani, quello del sogno e quello della realtà, il musical vuole sensibilizzare il pubblico non solo questa sindrome, ma anche sulle malattie rare e sulle diversità, promuovendo il dialogo, l’accettazione di sé e degli altri.

Sul palco si esibiranno oltre 50 bambini e ragazzi dell’Associazione Milleunavoce (di età compresa tra i 5 e i 20 anni), insieme ai 50 bambini del Coro della Scuola di Musica Ponte Linari di Roma.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la direttrice artistica dell’associazione Milleunavoce e mente dietro al musical, Vicky Martinez

Come nasce questo musical?
Il progetto nasce per integrare tutti i bambini, fare un lavoro vero e proprio di integrazione e dare anche la possibilità ai bambini con disabilità di fare arte, canto, danza, recitazione, che sono altamente terapeutici.
È importantissimo anche il valore della socializzazione per un bambino o un ragazzo con disabilità. Nel 2006 ho scritto questo spettacolo, dedicato a una bambina affetta dalla sindrome di Moebius, Giulia, la figlia del presidente dell’associazione Sindrome di Moebius. Alla fine dello spettacolo, tutti i ragazzi abbracciarono questa bambina: fu un momento commovente. Scientificamente è riconosciuto che, quando nasce un bambino con una malattia rara, è fondamentale che possa vivere una vita il più normale possibile, e questo include la socializzazione. Purtroppo oggi, ti dico la verità, è molto complicato.

Quindi nonostante siamo in un’epoca che dovrebbe essere più evoluta, c’è ancora poca attenzione e conoscenza in merito?
Da una parte siamo fortunati perché oggi almeno se ne parla, ci sono tante bellissime realtà e, tramite lo sport, si riesce a integrare questi ragazzi diversamente abili. Però allo stesso tempo, è comunque molto difficile. Se ne parla tanto, ma concretamente l’attenzione non è quella che dovrebbe essere.
Noi, per esempio, rivolgiamo il nostro spettacolo alle scuole perché oggi non è facile: internet ha creato un mondo molto superficiale, poco profondo. Nessuno ci ha insegnato a fare i genitori, mi includo anch’io, quindi già è difficile questo nuovo mondo.
In più, i ragazzi ricevono messaggi estremamente negativi da internet. Gli insegnanti stessi, quando arrivano ragazzi con disabilità o malattie rare, spesso non sanno come comportarsi, non hanno i mezzi.
E i genitori non sanno educare all’accettazione, alla comprensione, al rispetto. Perché? Perché se non ti tocca da vicino, tendi a non pensarci. Bisognerebbe dedicare più attenzione a questi aspetti. La disabilità è una realtà con cui, prima o poi, dobbiamo convivere.

Servirebbe più conoscenza, più attenzione e capacità empatica, invece spesso queste situazioni vengono ignorate o viste come un problema, anziché come una possibilità di crescita
Esattamente. È una possibilità per diventare più umani e purtroppo stiamo andando verso una società sempre meno umana. Quello che abbiamo creato è proprio per contrastare questa superficialità.
Bisogna iniziare da piccoli, educarli alla sensibilità. Noi siamo cresciuti con messaggi belli, tipo “Heidi” o “La casa nella prateria”, che ci hanno lasciato qualcosa nel cuore. Oggi i ragazzi hanno internet e poco tempo di qualità. Quindi dobbiamo contrastare questa superficialità, riempire il cuore dei bambini di messaggi positivi e creare un’educazione sentimentale. L’arte fa un lavoro meraviglioso: ti riempie il cuore. Se il cuore è vuoto, diventa duro.

È molto bello che abbiate declinato tutto questo anche come progetto scolastico, per insegnare ai più piccoli e sopperire a quella mancanza di conoscenza che spesso c’è anche nelle famiglie
Piero Angela diceva che non basta educare i ragazzi con la sola didattica: bisogna formarli a 360 gradi.
Educare all’accettazione e all’integrazione vuol dire creare esseri umani veri.
Nel nostro spettacolo finale collaboriamo con 100 ragazzi, anche con la scuola di musica di Ponte Linari, che come noi lavora sull’integrazione. Alla fine dello spettacolo cantiamo tutti insieme “Essere Umani” di Marco Mengoni, un brano che parla di quanto oggi si giudichi solo l’immagine esteriore.
Non si può pensare che dobbiamo essere tutti uguali, belli, perfetti: è una società brutta così. Serve cambiare. Questi ragazzi non possono esprimersi col volto: è una difficoltà enorme. Ho pensato fosse importante divulgare la conoscenza su questa sindrome, perché altrimenti la gente non sa e reagisce male. C’è anche il problema della paura dell’ignoranza: a scuola, i genitori chiedevano se questa paralisi fosse contagiosa. È devastante, soprattutto per i genitori che già soffrono tanto. Purtroppo, si parla molto di integrazione, ma poi spesso non viene attuata come dovrebbe.


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