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“La zona d’interesse” di Jonathan Glazer

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“La zona d’interesse” di Jonathan Glazer: un film di contrasti, tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis, dove si racconta la mostruosità del campo di concentramento di Auschwitz

"La zona d’interesse"

“La zona d’interesse” di Jonathan Glazer

“La zona d’interesse” di Jonathan Glazer: un film di contrasti, tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis, dove si racconta la mostruosità del campo di concentramento di Auschwitz

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“La zona d’interesse” di Jonathan Glazer

“La zona d’interesse” di Jonathan Glazer: un film di contrasti, tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis, dove si racconta la mostruosità del campo di concentramento di Auschwitz

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Fiori e sangue. Strudel di mele e cenere. Cespugli di lillà e morte. La zona d’interesse di Jonathan Glazer è un film di contrastitratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis e candidato a cinque premi Oscar – dove il regista britannico racconta la mostruosità del campo di concentramento di Auschwitz dal punto di vista della famiglia Höss che vive a pochissime miglia dalle ciminiere del lager. A separarli infatti, c’è solo un muro dove cresce una vite rigogliosa che tenta di nasconderlo. Rudolf Höss – direttore del campo di sterminio – vive con la moglie Hedwig (Sandra Hüller) in una bella villetta con un grande parco fiorito, l’orto gremito di ortaggi e erbe aromatiche, la piscina con lo scivolo dove i figli (ne hanno ben cinque) giocano spensierati. Nel mentre che loro godono del profumo delle rose, della vista dei tigli e dei girasoli, i corpi degli ebrei bruciano e nel cielo s’innalza un fumo nero a pochi metri dal loro Paradiso, il loro spazio vitale in prossimità dell’orrore.

“Sono la Regina di Auschwitz”, dice Hedwig Höss a sua madre, ospite nella bella tenuta dove nel frattempo, il marito discute con alcuni dei suoi sottoposti in merito alla creazione di nuovo crematorio che “farà la differenza”. Da una parte ci sono le pellicce di ermellino, le bambine con i capelli biondi accuratamente intrecciati, i dolci alla cannella; dall’altra i rumori agghiaccianti prodotti dalla fabbrica della morte, le grida disperate dei prigionieri che si mescolano al pianto del neonato figlio degli Höss. Non si vede niente di quello che succede nel campo di concentramento; il buio in apertura del film è un messaggio che dice subito: quell’orrore non è possibile mostrarlo. Glazer palesa l’altro orrore, quello ancora più profondo che sta dall’altra parte, quello mascherato, addobbato da perle e rossetti, quello che si aggira tra le lenzuola bianche stese in giardino, dove regna la beatitudine, la presunta normalità. Il padre di famiglia porta i suoi piccoli in gita al fiume con una barchetta di legno nuova di pacca, intanto che dall’acqua limpida compaiono – sempre tra le mani di quello stesso amorevole padre e nel contempo il più spietato dei nazisti – le ossa degli ebrei bruciati nei forni crematori sotto il suo comando. “Mi porterai di nuovo in quel centro termale in Italia?”, chiede la moglie al comandante Höss, lui le dice che indossa un buon profumo, lei risponde: “È un profumo francese”. Ancora contrasti: dove si consuma la più orribile malvagità, i condottieri del male discutono degli stereotipi che ci riguardano. Nel mentre che milioni di vite innocenti vengono private della loro identità, della libertà e della vita, i due coniugi discutono del bel paese e della profumeria francese. Perfino la madre di Hedwig non regge l’atroce simulazione e se ne va, all’improvviso, unendosi così al disgusto dello spettatore. Le uniche parole d’affetto del comandante sono rivolte a un cavallo: “ti voglio bene”, gli dice. Incapace di essere umano con gli esseri umani, l’uomo responsabile della morte di tre milioni di persone, quell’unico accenno d’affetto lo dedica a un animale. Per il resto si limita, in una scena soltanto, verso la fine, a vomitare e disfarsi – con qualche misurato rigurgito – della vigoria investita nell’amministrare il genocidio.

Durante il film si accendono e si spengono diverse luci, si salgono e si scendono più volte le scale, ci si trova spesso ad osservare da un lungo corridoio chi abita la casa infernale. Ma per quanti muri, scale, corridoi ci separino dalla crudeltà più feroce, per quanto decidiamo di voler vedere oppure no (così come i personaggi accendono e spengono la luce) tutto questo ci riguarda da vicino, riguarda tutti noi, il male di cui è capace la nostra specie e solo la nostra.

di Hilary Tiscione

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