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“L’arte non può avere limiti”, parla Gabriele Salvatores
Il prossimo 30 settembre Gabriele Salvatores riceverà il Premio alla carriera al Lucca Film Festival. I tanti successi e l’amore incondizionato del pubblico
“L’arte non può avere limiti”, parla Gabriele Salvatores
Il prossimo 30 settembre Gabriele Salvatores riceverà il Premio alla carriera al Lucca Film Festival. I tanti successi e l’amore incondizionato del pubblico
“L’arte non può avere limiti”, parla Gabriele Salvatores
Il prossimo 30 settembre Gabriele Salvatores riceverà il Premio alla carriera al Lucca Film Festival. I tanti successi e l’amore incondizionato del pubblico
Il prossimo 30 settembre Gabriele Salvatores riceverà il Premio alla carriera al Lucca Film Festival. I tanti successi e l’amore incondizionato del pubblico
L’Oscar per il miglior film in lingua straniera nel 1992 con “Mediterraneo”, i tanti successi e l’amore incondizionato del pubblico, eppure Gabriele Salvatores non ha intenzione di fermarsi. Dopo l’ottimo “Il ritorno di Casanova”, il regista sta ultimando “Napoli-New York” con protagonista Pierfrancesco Favino ed è pronto a ricevere l’ennesimo riconoscimento del suo brillante cammino.
Il prossimo 30 settembre riceverà il Premio alla carriera al Lucca Film Festival, che per l’occasione proporrà la versione restaurata del suo “Nirvana” in collaborazione con CG Entertainment. «I premi alla carriera mi fanno sentire vecchio, come del resto i giovani registi che mi dicono di essere cresciuti con i miei film» ci racconta Salvatores direttamente dalla sala di montaggio. «Spero di avere ancora un pochino di tempo davanti a me, ma è anche vero che arrivati a una certa età ci si accorge di aver sacrificato un po’ di ‘vita normale’ in nome del cinema. Sono contento di ciò che ho fatto, sia chiaro, ma ho voglia di realizzare ancora molte altre cose, ho parecchie storie da raccontare».
La libertà è la stella polare del regista settantaduenne, anche se l’oppressione del politicamente corretto rischia di minare la creatività: «Non potrebbe essere diversamente. L’arte non può avere limiti: può essere sgradevole o sbagliata, ma dev’essere libera. Si può anche non condividere, ma la libertà è fondamentale. Vanno abbattute le barriere dell’etica o della morale. Il politically correct, esattamente come il #MeToo, è nato da istanze più che condivisibili per poi degenerare, un po’ come la bomba di Oppenheimer». Non mancano comunque i motivi per prospettare un futuro roseo: «C’è un aspetto che vorrei sottolineare e del quale mi sento anche un po’ responsabile, se non ispiratore. Ci sono autori che stanno tentando dei terreni diversi dai due ‘genitori’ ingombranti, ossia il neorealismo e la commedia all’italiana. Forse anche grazie ai miei, negli ultimi anni sono stati realizzati dei film diversi e credo che il cinema italiano stia cambiando, stia trovando la sua strada fra il legame con le radici e uno sguardo verso il futuro». Il punto di vista é immarcescibilmente quello di un cinefilo: «La nuova generazione di registi si sta muovendo in direzioni diverse, un po’ come fu alle origini del cinema: da una parte il realismo dei fratelli Lumière e dall’altra Georges Méliès con “Il viaggio sulla Luna”».
Un altro tema rovente (cinematograficamente parlando) riguarda le sale, in particolare gli incassi dei film italiani. Salvatores non ha dubbi, la settima arte non morirà mai: «Ne sono ancora convinto. Credo che sia un’esigenza profonda degli esseri umani, sin dai tempi delle caverne: in attesa che spuntasse l’alba, c’era sicuramente qualcuno che raccontava delle storie. Come diceva Jacques Derrida, la potenza del cinema è quella di rievocare il passato e i fantasmi hanno bisogno del buio per apparire. La sala cinematografica svolge un ruolo importante: in un mondo in cui bisogna essere obbligatoriamente interattivi e iperattivi, bisogna disconnettere e lasciare attivi il cuore e la mente ascoltando nuove storie. Tutta questa ubriacatura passerà e riscopriremo il piacere di abbandonarci a due ore di viaggio in una sala cinematografica, ne sono certo». Con buona pace dei soliti menagrami.
Di Massimo Balsamo
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