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Oscar de la Hoya

Le confessioni del pugile Oscar de la Hoya

“The Golden Boy: Oscar de la Hoya”, da venerdì 12 luglio su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW. Clip in esclusiva

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Le confessioni del pugile Oscar de la Hoya

“The Golden Boy: Oscar de la Hoya”, da venerdì 12 luglio su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW. Clip in esclusiva

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“The Golden Boy: Oscar de la Hoya”, da venerdì 12 luglio su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW. Clip in esclusiva

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“The Golden Boy: Oscar de la Hoya”, da venerdì 12 luglio su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW. Clip in esclusiva

I documentari sui campioni sportivi sono per lo più agiografici, tesi a raccontare le grandi imprese e a tralasciare gli aspetti più delicati, le zone d’ombra che potrebbero intaccare lo status dell’eroe nazionale. Ebbene, “The Golden Boy: Oscar de la Hoya” (da venerdì 12 luglio su Sky Documentaries e in streaming solo su NOW, disponibile anche on demand), dedicato al fuoriclasse della boxe, non rientra in quei clichè, anzi si distingue per una narrazione originale, senza filtri e senza compromessi. Prodotto da Mark Wahlberg e Mario Lopez, il film ripercorre vita e carriera del pugile statunitense di origini messicane, un personaggio complicato e controverso, ma soprattutto un uomo che lotta per tenere a bada i suoi demoni.

Bello e carismatico, de la Hoya non impiegò molto a conquistare la galassia della boxe. Prima la medaglia d’oro all’Olimpiade di Barcellona del 1992, ad appena diciannove anni, poi i dieci titoli mondiali in sei categorie di peso, record ineguagliato da nessun altro atleta di questa disciplina. Orgoglio della comunità messicano-statunitense di Los Angeles, empatico e irriverente, divenne in poco tempo una superstar dentro e fuori il ring. «Volevo che la gente mi considerasse perfetto, senza difetti» ricorda de la Hoya, nell’Olimpo del pugilato dopo anni di sacrifici, di allenamenti alle quattro del mattino e di tanta, tanta fame. Ma il documentario diretto da Fernando Villena ci mostra anche l’altra faccia della medaglia e non parliamo della sconfitta contro Felix Trinidad o della doppia débâcle con Shane Mosley.

Quello che pochi sanno è che gran parte della vita di de la Hoya è stata una rete di bugie: prima per consolidare il mito sportivo, poi per tirarsi fuori dai guai. Emblematica la questione del soprannome “The Golden Boy”, ossia “Il ragazzo d’oro”. Ideato dal promoter John Beyrooty in occasione del debutto da professionista contro Lamar Williams il 23 novembre del 1992, fu frutto di una bugia: il pugile raccontò di voler vincere l’oro olimpico per realizzare l’ultimo desiderio della madre Cecilia, morta di cancro due anni prima. Tutto falso, una trovata semplice (ma vincente) per intenerire gli appassionati di boxe e permettere a de la Hoya di conquistare rapidamente milioni di seguaci.

«La gente deve sapere, devo togliermi questo peso. Questo è l’unico modo. Gli ultimi 45 anni sono stati duri per me» racconta in apertura de la Hoya ed effettivamente non mancano i colpi di scena. Se da un lato è impossibile non apprezzare il talento del pugile, con quel gancio sinistro in grado di mandare al tappeto chiunque, dall’altro lato è altrettanto complicato provare empatia nei confronti di un milionario egoista, donnaiolo, che sembra tutt’altro che interessato a costruire un rapporto con i sei figli. E poi l’alcol, i tradimenti, le continue menzogne. Un ritratto in chiaroscuro, ma che lascia presagire una luce in fondo al tunnel. La nuova attività da promoter, il percorso di riabilitazione per battere la dipendenza dall’alcol e soprattutto questo documentario, che mostra un de la Hoya nuovo, vero. Del resto è lui il primo ad ammetterlo: «Golden Boy non è nient’altro che una farsa».

di Massimo Balsamo

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