L’Encanto della vigilia
Encanto, la nuova pellicola Disney nei cinema in questi giorni e presto in streaming è un’incantesimo riuscito a metà. Ma non per i colombiani: per loro è l’antidoto a Narcos
L’Encanto della vigilia
Encanto, la nuova pellicola Disney nei cinema in questi giorni e presto in streaming è un’incantesimo riuscito a metà. Ma non per i colombiani: per loro è l’antidoto a Narcos
L’Encanto della vigilia
Encanto, la nuova pellicola Disney nei cinema in questi giorni e presto in streaming è un’incantesimo riuscito a metà. Ma non per i colombiani: per loro è l’antidoto a Narcos
AUTORE: Ilaria Cuzzolin
L’albero addobbato, la renna Rudolph ricamata sull’improbabile maglione, un film della Disney in tv e la magia delle feste è servita. Lo sanno bene anche a Burbank, in California, dove disegnatori e sceneggiatori lavorano non-stop per non deludere le aspettative sul tradizionale appuntamento natalizio, che quest’anno è stato anticipato al 24 novembre con l’uscita nelle sale cinematografiche di “Encanto”, film d’animazione che dalla vigilia sarà disponibile sulla piattaforma Disney+. I tempi in cui un titolo restava nelle sale anche un trimestre appartengono alla preistoria.
Ma i cinema non soffrono esclusivamente a causa della pandemia: il cambio di abitudini è cominciato ben prima, spinto e sostenuto dai venti dello streaming. Non solo: si sono modificati anche i gusti dello spettatore e il politically correct piace sempre meno. Così è accaduto che il debutto cinematografico di “Encanto” e della giovane Mirabel, sua protagonista non bella e senza talenti, sia stato oscurato da Harry Potter.
Nulla di male, se non fosse che la versione in questione fosse la prima, uscita vent’anni anni fa. L’incantesimo (encanto giustappunto in spagnolo) questa volta non è riuscito bene come accadde invece tempo addietro con “Coco”, altra pellicola d’animazione Disney, sceneggiata in America Latina e vincitrice di due premi Oscar. Non può quindi apparire un semplice caso che “Encanto” (60esima pellicola della casa di Topolino) sia stata ambientata proprio in Colombia, Stato confinante con il Venezuela e che molti confondono inspiegabilmente con la Bolivia, anche se a separarli ci sono 2.600 km (per capirci, la distanza che divide la Danimarca dalla Turchia).
Ma per i colombiani la cosa ha davvero poca importanza. Perché per loro “Encanto” non è solo un cartone ma una vetrina internazionale che deve rappresentare un volano utile a rilanciare l’immagine del Paese, oscurata dal telefilm “Narcos” che tanto ha contribuito alla fortuna di Netflix e alla sfortuna dei cinema. C’è da dire che grazie al successo della serie, la Colombia ha conosciuto un turismo mai visto prima, solo che non è la casa di Gabriel Garcìa Màrquez che si chiede di visitare ma quella di Pablo Escobar.
Un po’ come se Corleone e la masseria di Bernardo Provenzano diventassero meta di pellegrinaggio. A inorgoglire i colombiani sono invece le piantagioni di caffè, i colori del mare caraibico, una natura ancora incontaminata, l’Amazzonia e la catena delle Ande con vette che sfiorano i 5.800 metri; e poi i loro smeraldi, Cali capitale mondiale della salsa, una multiculturalità che è ricchezza e non danno, personaggi come Fernando Botero e, perché no, la cantante Shakira. Ma non lui, el patròn Pablo Escobar.
di Ilaria Cuzzolin
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