Lina
La sua ironia dissacrante, la capacità innata di mettere in scena le brutture della società senza fare sconti. Un tipo di narrazione che oggi incontrerebbe quasi sicuramente delle censure. Addio a Lina, la simpatica tiranna.
Lina
La sua ironia dissacrante, la capacità innata di mettere in scena le brutture della società senza fare sconti. Un tipo di narrazione che oggi incontrerebbe quasi sicuramente delle censure. Addio a Lina, la simpatica tiranna.
Lina
La sua ironia dissacrante, la capacità innata di mettere in scena le brutture della società senza fare sconti. Un tipo di narrazione che oggi incontrerebbe quasi sicuramente delle censure. Addio a Lina, la simpatica tiranna.
La sua ironia dissacrante, la capacità innata di mettere in scena le brutture della società senza fare sconti. Un tipo di narrazione che oggi incontrerebbe quasi sicuramente delle censure. Addio a Lina, la simpatica tiranna.
I capelli portati sempre corti, bianchissimi, come il sorriso messo in risalto dal rossetto rosso indossato solo fino a pochi anni fa. E poi quegli occhiali, anche loro bianchi, che l’hanno accompagnata dagli inizi fino a ieri, quando si è spenta all’età di 92 anni nella sua casa romana. Aveva qualcosa di magnetico Lina Wertmüller, l’avresti notata tra la folla anche se non fosse stata lo straordinario personaggio che era.
Era nata nella capitale da una famiglia aristocratica di origini svizzere e forse così si spiega la sua ossessione per le classi sociali, di cui sapeva scandagliare vizi e virtù con ironia dissacrante, a tratti farsesca. Il suo vero nome era Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich, nome lunghissimo come lo erano i titoli dei suoi film. Il più celebre fra tutti è “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, che consacrò Giancarlo Giannini (il rozzo marinaio comunista Gennarino Carunchio) e Mariangela Melato (la borghese anticomunista Raffaella Pavone Lanzetti) nel firmamento delle stelle del cinema internazionale. Nel copione originale c’erano segnalati sì e no quattro o cinque schiaffi, Giannini li fece diventare una cinquantina. Sberle date per mettere a tacere le isterie cornacchiose della moglie del ricco industriale del Nord dalla erre moscia e che, se messe in scena oggi, desterebbero sicuramente un enorme scalpore destinato a zittirsi solo con la censura. Eppure in quelle sberle, senza volerle giustificare, c’è tutta la rivincita di una categoria sfruttata. È il ribaltamento dei ruoli, dove è la natura a ristabilire i giusti equilibri. «Bottana industriale, bacia la mano del padrone!» è la scena evocativa in cui si racchiude la filosofia della Wertmüller.
C’è chi ha visto del maschilismo in questo film eppure Lina era un’icona per le femministe tanto da essere nominata ministro della Condizione femminile. La sua carica durò un lampo, il tempo di chiedere alle attiviste se avessero visto il suo film “Questa volta parliamo di uomini”. Nessuna. Bastò questo per abdicare. Non aveva mezze misure. La amavi o la detestavi. Era una simpatica tiranna, una rompicoglioni, per dirla come chi l’ha conosciuta. Non faceva eccezioni: da Sophia Loren a Monica Vitti, a cui una volta tagliò un vestito di proposito. Era una donna senza condizionamenti, che seppe raccontare le altre donne senza fare sconti: «Non si può fare questo lavoro perché si è uomo o perché si è donna. Lo si fa perché si ha talento» amava ripetere.
di Ilaria Cuzzolin
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