La musica italiana non cerca più nuovi autori
Se girando da una stazione radio all’altra vi sarà capitato di sentire un che di assonante, la ragione è che probabilmente i brani sono scritti dagli stessi autori
La musica italiana non cerca più nuovi autori
Se girando da una stazione radio all’altra vi sarà capitato di sentire un che di assonante, la ragione è che probabilmente i brani sono scritti dagli stessi autori
La musica italiana non cerca più nuovi autori
Se girando da una stazione radio all’altra vi sarà capitato di sentire un che di assonante, la ragione è che probabilmente i brani sono scritti dagli stessi autori
Se girando da una stazione radio all’altra vi sarà capitato di sentire un che di assonante, la ragione è che probabilmente i brani sono scritti dagli stessi autori
Fra le critiche più diffuse nei confronti della musica mainstream di casa nostra c’è quella che la vorrebbe suonare “sempre tutta uguale”. E se è pur vero che spesso e volentieri si esagera, forse un pizzico di verità in questo assunto c’è. E il motivo è presto spiegato. Se girando da una stazione radio all’altra, di playlist in playlist, vi sarà capitato di sentire un che di assonante, una lontana parvenza di famigliarità fra brani apparentemente tanto diversi tra loro, la ragione è che probabilmente son stati entrambi scritti dallo stesso autore.
Premettiamo che, a ben guardare, grandi autori di tante canzoni di successo da noi ci sono sempre stati. Basti pensare a Giulio Repetti in arte Mogol o a Gianni Bella, per fare i primi due nomi che ci vengono in mente. Ma da qualche anno a questa parte la musica italiana vede sempre più affermarsi un monopolio granitico di una cerchia ristretta di autori. Che, per via della capacità di sfornare hit in grado d’intercettare i gusti della gente meglio degli altri, è sempre più richiesta da artisti e case discografiche.
Queste ultime, un tempo fucina di talenti e in grado di trovare penne nei peggiori bar di Caracas tramite un capillare scouting, oggi non sono più inclini al rischio. E sembrano affidarsi con più predisposizione a chi ha dimostrato di saper scrivere brani di successo. D’altronde – con le canzoni sfornate una dietro l’altra e il mercato che cambia sempre più velocemente – come dar loro torto, si dirà. Il risultato rischia però di essere un appiattimento. Che nulla ha a che spartire con la policromia di un mezzo come la musica e la canzone.
E così, buttando un occhio veloce alle penne che hanno firmato i pezzi in gara nel prossimo Festival di Sanremo, ci si accorgerà di un dato emblematico. 11 autori per 20 brani su 30, oltre il 65% del totale. Fra i nomi spicca quello di Federica Abbate, che straccia la concorrenza tutta firmando la musica e il testo della bellezza di 7 brani. Secondo posto sul podio per Davide Simonetta, che co-firma 5 brani. Seguito da Davide Petrella che, come nel 2024, mette il suo nome in calce a ‘soli’ 4 brani. Discorso a parte meriterebbe chi – come Rocco Hunt in questo Festival, ma tanti in generale – fa firmare la musica del suo brano a 6 persone. Il testo però è solo suo, dai. Quest’anno soltanto due ‘big’ sono gli unici autori dei propri brani: Brunori Sas e Kekko dei Modà.
Si è preso Sanremo solo come esempio, la tendenza tocca ogni stagione dell’anno. Non ci resta che sperare che qualcuno dismetta questa ricerca spasmodica della formula per la hit perfetta. Dedicandosi piuttosto a scandagliare il ricchissimo sottobosco di talenti e autori che c’è, eccome, lungo lo Stivale. Per vedere un po’ l’effetto che fa. Magari nasceranno nuove sonorità o anche solo nuove penne capaci di movimentare un po’ questa calma piatta.
Di Federico Arduini
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