
“L’Orto Americano”, l’ultimo film di Pupi Avati
Pupi Avati gira il suo ultimo film, L’orto americano, tra l’Italia e gli Stati Uniti. E torna all’horror con uno stile e una tecnica di cui ormai non si vedeva più l’ombra nel cinema italiano
“L’Orto Americano”, l’ultimo film di Pupi Avati
Pupi Avati gira il suo ultimo film, L’orto americano, tra l’Italia e gli Stati Uniti. E torna all’horror con uno stile e una tecnica di cui ormai non si vedeva più l’ombra nel cinema italiano
“L’Orto Americano”, l’ultimo film di Pupi Avati
Pupi Avati gira il suo ultimo film, L’orto americano, tra l’Italia e gli Stati Uniti. E torna all’horror con uno stile e una tecnica di cui ormai non si vedeva più l’ombra nel cinema italiano
Pupi Avati gira il suo ultimo film, L’orto americano, tra l’Italia e gli Stati Uniti. E torna all’horror con uno stile e una tecnica di cui ormai non si vedeva più l’ombra nel cinema italiano
Pupi Avati gira il suo ultimo film, L’orto americano, tra l’Italia e gli Stati Uniti. E torna all’horror con uno stile e una tecnica di cui ormai non si vedeva più l’ombra nel cinema italiano. La pellicola, tratta dall’omonimo romanzo scritto dal regista, è un gioiello. Che mette in scena la vicenda di un giovane scrittore (con i tratti del volto che ricordano in modo impressionante quelli di Kafka) che rimane catturato dall’apparizione di una donna misteriosa. Al punto da innamorarsene al primo sguardo. Ci troviamo a Bologna nel 1945, la donna entra nella bottega di un barbiere per chiedere un’informazione. E lui (l’attore Filippo Scotti, già Fabietto in È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino) ne rimane folgorato.
Deve però partire per l’America e per un misterioso intento dell’universo, per un intreccio fatale, finisce proprio sulle orme di questa ragazza di nome Barbara. Si trova infatti a stretto contatto con la madre della donna (di cui fa un’interpretazione straordinaria Rita Tushingham). Che lo porta a confrontarsi con il passato della figlia di una bellezza imprigionante. Il giovane è sempre più sedotto dalla presenza-assenza di questa fantasmatica dea. Ma la ragazza è scomparsa. Non ha mai più dato sue notizie, resta qualche lettera ormai di tempo addietro. La madre è disperata. Ha il volto solcato dal dolore. Sembra assurdo che il giovane, dall’altra parte del mondo, sia capitato proprio nella casa accanto a quella della donna che ormai abita ossessivamente i suoi pensieri. Questa inverosimiglianza è parte del bello di questa fiaba onirica, poetica e orrorifica.
Il giovane è contagiato dal ricordo di lei, allo stesso tempo avvelenato da una realtà che lo imbriglia e da uno stratagemma irrisolvibile. L’intreccio si complica ulteriormente quando dall’orto che separa la casa dello scrittore da quella della madre di Barbara, il ragazzo avverte delle voci di donna insistenti. Dove si nasconde questa donna? La voce proviene dall’orto, ma dove si trova? Sottoterra? È reale? La sta immaginando? La donna è scomparsa in Italia, il giovane si mette sulle sue tracce e riparte per la città natale. Ma durante la ricerca, incappa in figure sempre più losche, sospette, inquietanti.
L’orto americano, che ha chiuso l’81esima Mostra del Cinema di Venezia, è un horror di intima eleganza. Con una fotografia che penetra dentro lo sguardo dello spettatore con delle immagini imponenti e allo stesso tempo piene di grazia. È un bianco e nero di quelli che appartengono a un’altra epoca, puro incanto, pura bellezza, suspense crescente modellata con sublime intelligenza. Ricorda uno dei grandi classici del cinema statunitense che hanno lasciato il segno. Il Maestro del gotico, dopo Bix (1991) che raccontava la storia del jazzista Bix Beiderbecke e Il nascondiglio (2007), torna a girare a Davenport (Iowa). In una città da tempo familiare e in quei luoghi dell’America più profonda, maneggia di nuovo il misterico con quella sua cifra inimitabile.
Di Hilary Tiscione
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