“Miracoli Metropolitani”: quando il teatro diventa pop
In scena al Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 31 dicembre, l’irriverente compagnia Carrozzeria Orfeo che da anni porta in teatro le sfumature di una società sommersa dai propri dilemmi ma incredibilmente umana.
“Miracoli Metropolitani”: quando il teatro diventa pop
In scena al Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 31 dicembre, l’irriverente compagnia Carrozzeria Orfeo che da anni porta in teatro le sfumature di una società sommersa dai propri dilemmi ma incredibilmente umana.
“Miracoli Metropolitani”: quando il teatro diventa pop
In scena al Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 31 dicembre, l’irriverente compagnia Carrozzeria Orfeo che da anni porta in teatro le sfumature di una società sommersa dai propri dilemmi ma incredibilmente umana.
In scena al Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 31 dicembre, l’irriverente compagnia Carrozzeria Orfeo che da anni porta in teatro le sfumature di una società sommersa dai propri dilemmi ma incredibilmente umana.
Chi segue la drammaturgia contemporanea in teatro li avrà sentiti nominare centinaia di volte. Il nome di questa compagnia teatrale, Carrozzeria Orfeo, incuriosisce già prima di avere a che fare con i loro spettacoli irriverenti e incredibilmente taglienti.
“Un nome che nasce dalla contrapposizione di parole tra loro molto diverse. La concretezza di una carrozzeria e il simbolo dell’arte. La fatica del mestiere, il sacrificio e la manualità dell’artigiano, e allo stesso tempo la volontà di vivere un’esperienza onirica.”
Un gruppo di ragazzi diplomati all’Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe” che nel 2007 costituisce una compagnia con un’identità ben precisa, deliziandoci con una serie di drammaturgie originali impossibili da dimenticare. Come “Animali da bar”, dove un gruppo di estranei condivide la parte più profonda di sé grazie all’alcol o “Thanks for vaselina” “un’inculata morbida, una violenza non esplicita, il compromesso pericoloso e terribile che congela il pensiero”, da cui è stato tratto anche un film, online su Netflix.
Merito di un’incredibile successo, l’arguzia di Gabriele Di Luca, ma più in generale la poetica di questi fuoriclasse che incantano il pubblico a suon di colpi nello stomaco (metaforici, si intende) e esplicite battute tutt’altro che politicamente corrette. Perché il bello sta proprio lì: nell’utilizzare un mezzo sempre meno Pop-olare come il teatro, attraverso un linguaggio digeribile da qualsiasi tipo di pubblico, più vicino al realismo del cinema.
A Milano, in scena dal 30 novembre al 31 dicembre presso il Teatro Elfo Puccini, abbiamo ammirato l’ultima fatica del gruppo: Miracoli Metropolitani, presto in tournée in tutta Italia (prossime tappe Roma e Torino). Uno spettacolo che più che allontanarci dalla realtà fin troppo ingombrante che stiamo vivendo oggi, tende ad offrircela con lucidità, in una sorta di premonizione drammaturgica.
Attraverso una narrazione serrata, il drammaturgo e regista Gabriele Di Luca ci trasporta in una città invasa dai liquami delle fogne stracolme, che riversano sulle strade l’inevitabile strabordare di rifiuti tossici e non, generati da un consumismo sempre più dirompente che ora rischia di travolgerci.
A noi pubblico è concesso esclusivamente di entrare in contatto con le storie di otto personaggi, che gestiscono l’unica attività possibile in un momento in cui uscire di casa è potenzialmente nocivo: un ristorante d’asporto. Poco importa quanto incredibilmente orrendo ci venga descritto l’esterno, perché davanti ai nostri occhi si consuma la peggiore tragedia possibile: quella umana.
Ogni personaggio è sempre più chiuso in sé, trovando nell’altro esclusivamente una forma di sfogo o conforto per ciò che lo affligge. Più diventa pericoloso uscire, più entrare in contatto con l’altro crea un pretesto per volerlo fare.
Una storia verosimilmente vicina a ciò che il mondo sta vivendo, ma che nasce, come afferma lo stesso Di Luca, ben prima dell’emergenza sanitaria.
Gli otto personaggi, interpretati magistralmente, sembrano racchiudere un’intera gamma di personalità così grottesche da risultare incredibilmente reali.
C’è Plinio (Federico Vanni), uno chef stellato costretto a tirare su soldi con un’attività mediocre, lontana dai suoi valori. Un uomo che coltiva ancora il sogno di riscatto culinario mentre la realtà gli impone di cucinare uova in polvere e cibo importato dall’Asia.
Clara, sua moglie, interpretata da uno dei pilastri della compagnia, Beatrice Schiros, che rappresenta tutte quelle persone che dal gradino più basso ci sono passate, e che non desiderano altro che starne il più lontano possibile. Ex lavapiatti, si trasforma in una bizzarra imprenditrice ossessionata dall’apparenza sui social ma che si accontenta di vivere in una vecchia carrozzeria riadattata a cucina.
E poi Igor (Federico Gatti), il figlio diciannovenne viziato e immaturo, ossessionato da un videogame sulla guerra, Affonda l’immigrato, che si auto impone una reclusione da ben prima che questo diventasse un problema.
Patty (Elsa Bossi) la settantenne madre di Plinio, ex brigatista e femminista convinta che sembra sempre rivolta ai problemi del mondo piuttosto che a quelli di chi ama.
Cesare (Massimiliano Setti), “aspirante suicida” salvato dall’incontro casuale con la squadra, Mosquito (Aleph Viola), un carcerato aspirante attore costretto ai lavori socialmente utili, grazie ad un accordo tra il direttore del carcere e Clara che lo sfrutta per accedere ai fondi europei; Mohamed, professore universitario in Libano, e rider sottopagato e sfruttato in Italia Infine, Hope (Ambra Chiarello).
Ognuno di loro contribuisce ad una risata con un linguaggio per niente controllato. Ognuno di loro contribuisce a mostrare un po’ di quella spazzatura che tutti teniamo dentro e che prima o poi ci sommerge.
Il pubblico si affeziona, li acclama, a tratti li rimprovera, per poi alzarsi in piedi ad applaudire nei momenti più potenti. Alla fine questo accade in teatro: si condivide.
E se dal lato della sala si sente singhiozzare è solo grazie al fatto che questi incredibili interpreti hanno fatto un buon lavoro, e non solo in scena.
Miracoli Metropolitani, la storia e la tragedia umana
Il tema dell’immigrazione
E così tra un tasso di disoccupazione al 62%, Messe celebrate in streaming, cibo d’asporto per celiaci, assistiamo da spettatori a quella che è stata una previsione quasi azzeccata di ciò che più avanti sarebbe accaduto. Il colpo di grazia, però, ci viene dato esplorando una tematica ancora più invadente. A causa dell’emergenza fognaria il governo è costretto ad emanare un decreto di sostegno per le fasce più deboli della popolazione, tra questi vengono considerati anche gli immigrati. Questo darà il via a una vera e propria persecuzione da parte di gruppi di estremisti, trovando in loro il vero capro espiatorio della situazione, sfociando in breve tempo in una guerra civile che porterà alla costituzione di un nuovo governo dai chiari richiami fascisti. Hope, la lavapiatti etiope del locale, uno dei personaggi più distaccati dal tormento occidentale (lei che di disgrazie ne ha vissute fin troppe), diventa così un bersaglio, portandoci ad immergerci nella sua storia che sfocerà in un monologo applauditissimo sugli avocado e l’occidente: Perché noi occidentali abbiamo potuto saccheggiare la sua terra da ogni bene, ma lei dà fastidio se tenta di lavorare onestamente nel nostro paese.I personaggi, le risate amare, e la bellezza di vedere il pieno a teatro
Fate passaparola
Perciò, come loro stessi suggeriscono a fine spettacolo (e con grande irriverenza sui social), faremo passaparola e vi suggeriamo la visione di questo incredibile spettacolo, che per 2 ore e mezza vi aiuterà ad avvicinarvi un pizzico di più a quella trappola che siamo spesso noi stessi. Miracoli Metropolitani – drammaturgia Gabriele Di Luca Regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi Tournée 2021-2022: https://www.carrozzeriaorfeo.it/calendario di Elena BellanovaLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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