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Una, nessuna e cento Monica Vitti

Ci lascia all’età di 90 anni Monica Vitti. Ci piace ricordarla come la donna dai cento volti, capace di regalare interpretazioni in grado di smuovere l’Italia del tempo. 
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Una, nessuna e cento Monica Vitti

Ci lascia all’età di 90 anni Monica Vitti. Ci piace ricordarla come la donna dai cento volti, capace di regalare interpretazioni in grado di smuovere l’Italia del tempo. 
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Una, nessuna e cento Monica Vitti

Ci lascia all’età di 90 anni Monica Vitti. Ci piace ricordarla come la donna dai cento volti, capace di regalare interpretazioni in grado di smuovere l’Italia del tempo. 
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Ci lascia all’età di 90 anni Monica Vitti. Ci piace ricordarla come la donna dai cento volti, capace di regalare interpretazioni in grado di smuovere l’Italia del tempo. 
Ci lascia a 90 anni Monica, proprio quando l’Italia ha gli occhi puntati su un palco, quasi a dire “posso andare ora”. Una dipartita silenziosa, frutto di una malattia neurodegenerativa che negli ultimi anni l’ha allontanata dalla realtà e l’ha portata ad abbandonare definitivamente le scene. Una donna ammaliante, una persona coinvolgente, un personaggio intelligente. Lei che la vita ha sempre saputo mostrarla con lucidità e profondità nei suoi personaggi e che grazie ai nomi incredibili ai quali è stata affiancata ha potuto portare all’estremo, sfiorando canoni mai accettati fino a quel momento. Monica Vitti era nata per fare il cinema; lei che al cinema nemmeno pensava quando Michelangelo Antonioni la notò in sala di doppiaggio, mentre prestava la voce a Dorian Gray ne «Il grido», così presa dalla sua passione per il teatro dopo anni di studio a Roma e alcune degne interpretazioni dei grandi classici di Shakespeare, Molière e Brecht. Ma il cinema degli anni 60 aveva bisogno di una come lei per aprire le porte all’intensità struggente della donna italiana, sempre meno accondiscendente e sempre più combattiva e profonda. Un viso come il suo, d’altronde, non poteva che discostarsi dai canoni classici dell’epoca e dare spazio a una nuova visione. Con Antonioni attraversa personaggi travolgenti, in un ventaglio di personalità tutte volte a comunicare il senso di insoddisfazione della donna dei tempi, troppo spesso rappresentata su due sole dimensioni.  Con L’avventura (1960) comincia il percorso di ricerca di entrambi sulla profondità e sull’esplorazione dei sentimenti seguito da La notte (1961) e L’eclisse (1962), che chiude la trilogia lasciando spazio a Deserto rosso (1964), dove il personaggio femminile viene definitivamente esposto alla ricerca di sé, in un’epoca di cambiamento e fermento. Ma la vera difficoltà per Monica (e non certo per la sua bravura) arriva con la commedia, grazie alla quale ha la possibilità di scardinare ancora una volta i cliché dell’epoca che volevano le donne simpatiche imbruttite o poco desiderabili. Monica Vitti aveva questo potere: essere credibile anche quando interpretava ruoli comici, nonostante la sua sconfinata bellezza.  Nella seconda metà degli anni ’60, Monica Vitti  abbandona il cinema di Antonioni (e la loro relazione) per lasciare spazio a un’anima più leggera ma ugualmente di spessore, recitando per Mario Monicelli in La ragazza con la pistola (1968) e successivamente al fianco di Alberto Sordi fino al successo di Polvere di stelle del 1973. Chi si dimentica la celebre scena che li vede intonare una delle battute più celebri ( e abusate) della storia del cinema: ‘Ma ‘ndo vai (se la banana non ce l’hai)’ in un duetto spumeggiante e ammiccante oppure le successive collaborazioni con artisti del calibro di Ettore Scola, Alberto Sordi, Eduardo De Filippo. Monica è stata una donna, prima che un’attrice, capace di coraggio e dedizione. Una delle poche in grado di donarci una versatilità credibile e ammaliante, in grado di passare dall’intensità esistenziale alla comicità popolare, lasciando un’impronta importante che vede il suo apice nel debutto alla regia per il film “Scandalo segreto” (1990) da lei scritto e interpretato che le regalò il David di Donatello per il miglior esordio La malattia, più che il desiderio di fermarsi, la vedono in pubblico per un’ultima volta durante la prima di “Notre Dame de Paris”, al fianco del marito Roberto Russo, compagno di vita dal 2000 in una relazione tutt’altro che convenzionale anche nella vita, che vede un uomo di 36 anni accanto a una donna di 52. Oggi si spegne una straordinaria personalità, che seppe tenere testa a personalità altrettanto straordinarie, insegnando a un paese intero a guardare quelle creature fragili e composte che erano le donne come degli esseri umani complicati e profondi. Con lei salutiamo una parte di Italia, quella che seppe rompere barriere per aprirsi ad un mondo autentico, in quell’epoca meravigliosa per il cinema italiano che ci regalò nuove esperienze e che è ancora oggi riferimento per il mondo intero. di Elena Bellanova

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