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Musicisti contro il suono delle bombe

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Molti artisti hanno deciso di annullare i propri tour in Russia in sostegno all’ Ucraina. C’è chi ha avuto da ridire, ma un artista ha diritto di scegliere cosa fare, o no, con la propria arte.

Musicisti contro il suono delle bombe

Molti artisti hanno deciso di annullare i propri tour in Russia in sostegno all’ Ucraina. C’è chi ha avuto da ridire, ma un artista ha diritto di scegliere cosa fare, o no, con la propria arte.
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Musicisti contro il suono delle bombe

Molti artisti hanno deciso di annullare i propri tour in Russia in sostegno all’ Ucraina. C’è chi ha avuto da ridire, ma un artista ha diritto di scegliere cosa fare, o no, con la propria arte.
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Che la musica prenda posizione forte e netta contro la guerra non è di certo una novità. Basti pensare ad alcune delle più grandi canzoni del Novecento, da “Blowing in the Wind” di Bob Dylan a “War” di Springsteen, nate dal rigurgito della violenza scaturita dai conflitti che hanno martoriato il secolo scorso, dalle ferite ancora aperte e mai completamente guarite. Perché dunque ci si dovrebbe stupire dinnanzi ai tanti artisti che, fin dalle prime ore del conflitto in Ucraina, hanno alzato la propria voce in segno di protesta contro la folle operazione di Putin, arrivando ad annullare tour e concerti già previsti per esprimere vicinanza agli oppressi? Da Nick Cave ai Maneskin, passando per i Green Day ed Eric Clapton, in molti si sono uniti a questo coro di dissenso. David Gilmour non ha date in programma in Russia ma ha una nuora ucraina, come ha spiegato su Twitter. Probabilmente è anche questo il motivo della scelta, concertata insieme all’altro ex Floyd Nick Mason, di togliere da tutti i servizi streaming russi la sua musica da solista e quella dei Pink Floyd prodotta dopo il 1987 (su quanto suonato in precedenza c’è il veto di Waters…). Reazioni che non dovrebbero stupire, eppure accade. Sono in molti in queste ore a non capacitarsi della scelta di questi artisti – alcuni sono veri e propri mostri sacri – accusandoli di protagonismo, di essere “burattini dell’Occidente” o magari ironizzando sulla presunta inutilità del loro gesto. In soldoni, recitano il vecchio live motive del “Facciano i cantanti e non si occupino di politica”. Come se si trattasse di mera burocrazia e giochi di potere mentre intere città, vite e speranze cadono sotto le bombe. Partendo dal presupposto che un artista è libero di fare ciò che vuole della propria arte, il valore anche solo simbolico della scelta fatta è già di per sé indubbio e inattaccabile. Rimanere sorpresi che arrivi da un artista vuol dire aver capito poco dell’arte in generale. Oltretutto, tour del calibro di alcuni di quelli saltati smuovono decine di milioni di dollari: le decisioni di annullarli, di fatto, si affiancano ai colpi sferrati contro l’economia russa. Nessuno dei musicisti avrà preso questa decisione a cuor leggero, anche per le migliaia di fan russi che – speriamo non allineati alla follia del loro governo – si ritroveranno senza la possibilità di vivere quella musica dal vivo o di poterla ascoltare dal proprio telefono. Perché sempre di musica si sta parlando, di un’arte che intrinsecamente veicola valori universali, essendo un linguaggio uguale per tutti e che non conosce barriere. Cantare di pace, d’amore e di vita entro i confini di uno Stato che ne ha invaso brutalmente un altro sarebbe però quanto meno straniante: «It really makes me wonder», citando Plant. di Federico Arduini

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