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Paul Newman

Occhi azzurri su Hollywood

Domani il celebre attore Paul Newman, la cui carriera lo portò a recitare fra i capolavori della storia del cinema, avrebbe compiuto 100 anni

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Domani il celebre attore Paul Newman, la cui carriera lo portò a recitare fra i capolavori della storia del cinema, avrebbe compiuto 100 anni

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Domani il celebre attore Paul Newman, la cui carriera lo portò a recitare fra i capolavori della storia del cinema, avrebbe compiuto 100 anni

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Domani il celebre attore Paul Newman, la cui carriera lo portò a recitare fra i capolavori della storia del cinema, avrebbe compiuto 100 anni

Manca qualche giorno a Natale del 1954, quando nelle sale americane esce un film intitolato “Il calice d’argento”. Fra gli interpreti c’è un attore non ancora 30enne, figlio di un ebreo tedesco e di un’emigrante slovacca, che proprio in quella pellicola fa il suo debutto sul grande schermo. La sua non è una performance memorabile. Il prestigioso “The New Yorker” lo bolla come «uno che recita la sua parte con il fervore emotivo di un autista di autobus che annuncia le fermate locali». E non va meglio su altre testate, al punto che lo sciagurato interprete si trova costretto a comprare di tasca sua una pagina su un quotidiano per scusarsi della propria pessima prova attoriale. Potrebbe essere la cronaca di uno dei tanti fallimenti che hanno segnato la fine di centinaia di carriere in erba, se non fosse che l’attore in questione si chiama Paul Newman. E giusto domani avrebbe compiuto cento anni.

In realtà la recitazione non è mai stato il suo sogno: desiderava diventare un pilota della Marina americana e, se non fosse per il daltonismo da cui è affetto, ci sarebbe anche potuto riuscire. Durante la Seconda guerra mondiale presta servizio come mitragliere e marconista a bordo dei bombardieri e assiste in prima persona alla deflagrazione della bomba atomica che devasta Hiroshima il 6 agosto 1945. Tornato a casa, molla il posto nell’azienda di famiglia, si sposa e sceglie di iscriversi all’Actor’s Studio. Dopo alcune prove teatrali approda al cinema, con i risultati di cui sopra. Eppure da lì in poi prende il via una carriera memorabile che lo porta, a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta a recitare in alcuni fra i capolavori della storia del cinema: da “La gatta sul tetto che scotta” a “Lo spaccone”, passando per “Butch Cassidy” e “La Stangata” (questi ultimi in coppia con Robert Redford), la parabola artistica di Newman ne fa il ponte fra due generazioni, tra padri e figli del boom demografico, alimentata dal fascino del ribelle senza causa che guarda il mondo da lontano pur mantenendo con lo stesso una vicinanza emotiva.

I critici gli rimproverano l’assenza del carisma emanato da altri attori della sua generazione, come James Dean e Marlon Brando. Ma in realtà è questa sua costante ‘umanizzazione’ dei personaggi a rendere uniche le sue interpretazioni. Un percorso che, per tutta la vita, andrà di pari passo con il suo ruolo al di fuori del set. Attivista per i diritti civili, esponente di una cultura liberal che a Hollywood non sempre è stata gradita, filantropo e testimonial di associazioni umanitarie, Newman ha cercato di far prevalere l’uomo sull’attore, con il risultato di riuscire a salvaguardare sé stesso dagli isterismi del pubblico, restando nel contempo al di fuori dagli schemi dell’industria.

Anche nell’età della maturità, anziché riposare sugli allori, ha preferito mettere la propria esperienza al servizio delle nuove generazioni di cineasti (come con i fratelli Coen in “Mister Hula Hoop”) cogliendo comunque l’occasione per continuare a sperimentare su di sé, in un percorso di perpetua ricerca che ha contribuito a plasmare ulteriormente la sua unicità, dentro e fuori dal set. Un po’ come quando correva in pista a bordo delle monoposto che tanto amava, sempre pronto a premere sull’acceleratore alla ricerca di un nuovo traguardo da superare. Perché – giova ricordarlo – nella vita come nella finzione scenica è importante provare ad andare oltre gli steccati. Ce lo ha insegnato Paul Newman. E noi ci crediamo, fermamente.

Di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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