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Oscar, politica ma non troppa. Hollywood non sfida Trump

Stati Uniti – La cerimonia degli Oscar di quest’anno era particolarmente attesa, non solo perché era stata posticipata di alcune settimane a causa degli incendi che avevano interessato l’area di Los Angeles a gennaio, ma anche per l’onda lunga dello scontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky

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Oscar, politica ma non troppa. Hollywood non sfida Trump

Stati Uniti – La cerimonia degli Oscar di quest’anno era particolarmente attesa, non solo perché era stata posticipata di alcune settimane a causa degli incendi che avevano interessato l’area di Los Angeles a gennaio, ma anche per l’onda lunga dello scontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky

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Oscar, politica ma non troppa. Hollywood non sfida Trump

Stati Uniti – La cerimonia degli Oscar di quest’anno era particolarmente attesa, non solo perché era stata posticipata di alcune settimane a causa degli incendi che avevano interessato l’area di Los Angeles a gennaio, ma anche per l’onda lunga dello scontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky

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Stati Uniti – La cerimonia degli Oscar di quest’anno era particolarmente attesa, non solo perché era stata posticipata di alcune settimane a causa degli incendi che avevano interessato l’area di Los Angeles a gennaio, ma anche per l’onda lunga dello scontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky

Stati Uniti – La cerimonia di quest’anno era particolarmente attesa, non solo perché era stata posticipata di alcune settimane a causa degli incendi che avevano interessato l’area di Los Angeles a gennaio. Ma anche per l’onda lunga dello scontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky. Da sempre il palco del Dolby Theatre è stato anche il luogo da cui si sono amplificate polemiche politiche di vario genere. Se poi a questo si aggiunge che il mondo del cinema americano non è mai stato trumpiano, era immaginabile aspettarsi che qualche “stella” di Hollywood non rinunciasse a lanciare strali o semplici messaggi all’inquilino della Casa Bianca.

Gli Oscar e i riferimenti alla Palestina

Ma così non è stato, o meglio: non come ci si sarebbe immaginato. Il primo riferimento alla politica – sul red carpet prima del via della 97ª edizione degli Academy Awards – non è stato all’Ucraina. Bensì al Medio Oriente. Accaduto quando Guy Pearce, attore nel film ‘The Brutalist’ e in corsa per una statuetta con dieci nominations, si è presentato sul red carpet con una spilla con la scritta ‘Free Palestine’ raffigurante una colomba bianca e un ramo d’oro. Poi ha spiegato: “È il minimo che possiamo fare”. È pur vero che l’Oscar per il Miglior documentario è andato a “No Other Land”. Film collettivo israelo-palestinese, che hanno invocato lo “stop alla pulizia etnica” nella regione.

Il razzismo e l’immigrazione

L’altra polemica, ma di stampo razzista, ha poi riguardato Karla Sofia Gascon. L’attrice transgender e candidata alla Miglior attrice protagonista per ‘Emilia Perez’ era in sala. Ma seduta lontano dal cast del film di Jacques Audiard per le polemiche su alcuni suoi vecchi tweet sui musulmani e sull’omicidio di George Floyd.

I messaggi incriminati risalivano al 2020 e 2021, ma sono emersi solo di recente. In questo caso ci ha pensato il conduttore della cerimonia, Conan O’Brien, a sciogliere (o sottolineare?) l’imbarazzo. Dicendo: “Se devi scrivere dei tweet io mi chiamo Jimmy Kimmel”, conduttore e produttore esecutivo del Jimmy Kimmel Live!, storico talk in onda su ABC. Un richiamo all’immigrazione è arrivato, comunque, da Zoe Saldana, quando nel commentare la vittoria come Miglior attrice non protagonista ha detto: “Sono orgogliosa di essere figlia di genitori immigrati. Sono la prima americana di origine domenicana a vincere questo Oscar. Un ruolo in cui canto, parlo e recito in spagnolo, mia nonna sarebbe orgogliosissima”.

Diversity e Ucraina

Un riferimento alla diversity è invece arrivato da Paul Tazewell, che nel ricevere la statuetta per i migliori costumi di “Wicked”, ha commentato: “Sono il primo uomo di colore a vincere l’Oscar in questa categoria”. L’ovazione in sala è parsa soprattutto una sottolineatura in un momento in cui il Presidente Trump ha invertito la rotta, congelando ogni programma di cosiddetta DEI, Diversity, Equity & Inclusion. Chi, invece, ha mostrato il proprio supporto l’Ucraina è stata l’attrice Daryl Hannah (“Kill Bill”) nel presentare il vincitore del miglior montaggio, che ha esclamato “Slava Ukraini”, cioè la traduzione di “Vittoria all’Ucraina”. Non una sorpresa da una interprete nota anche per il suo attivismo ambientalista e per i legami con JKF jr e Neil Young. 

L’attivismo in Iran

Nella notte degli Oscar c’è stato spazio anche per un riferimento all’importanza dell’alleanza tra donne, come ha fatto la vincitrice dell’Oscar come Miglior attrice protagonista (Mikey Madison) e per l’attivismo iraniano, con la vittoria per il Miglior corto animato internazionale a “In the shadow of the cypress”, degli iraniani Shirin Sohani e Hossein Molayemi, che hanno confessato di aver rischiato di non essere presenti a Los Angeles perché hanno ricevuto il visto solo all’ultimo e hanno dedicato la vittoria ai “compagni in lotta” in Iran.

Agli Oscar l’omaggio ai vigili del fuoco di Palisades e il ricordo di Gene Hackman

In ogni caso ha dominato la “sobrietà”. Eliminate, infatti, le numerose performance musicali dal vivo del passato. Anche in rispetto delle vittime e della devastazione che hanno interessato l’area di Los Angeles. Proprio i vigili del fuoco di Palisades, particolarmente colpita, sono stati omaggiati sul palco. Tra le poche esibizioni canore dal vivo, quella di Ariana Grande, con Somewhere over the rainbow, insieme a Cynthia Erivo. A ricordare Gene Hackman, invece, ci ha pensato Morgan Freeman, mentre un tributo a Quincy Jones è arrivato da Queen Latifah.

di Eleonora Lorusso

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