Otto settimane di Thriller
Otto settimane di Thriller
Otto settimane di Thriller
Dal 22 novembre è in circolazione una rimasterizzazione del disco che – non ce ne vogliano i fan di Jackson – sconsigliamo di ascoltare perché a noi dà l’idea che ci porti fuori strada dalla cifra stilistica di quel capolavoro d’arte popolare. «Quando abbiamo pensato al disco abbiamo incominciato a guardarci attorno» continua il signor Jones, che negli Stati Uniti è chiamato Mister Q dal nome del geniale scienziato che prepara le diaboliche invenzioni per 007. «Nel mondo della musica la dance tipo anni Settanta, tanto per intenderci, andava affievolendo la propria spinta propulsiva. Le reunion come quella di Crosby, Stills, Nash & Young dimostravano che il rock era arrivato a una sorta di capolinea sul piano delle idee. Volevamo condensare nell’album una miscela musicale che andasse a un pubblico il più trasversale possibile, senza inquinare le radici soul di Jackson. Sostenevo che per il pubblico di pelle bianca non bastasse inventarsi una formula di neo-dance ma si dovesse includere anche un’impronta rock precisa».
Detto fatto. Michael Jackson chiama in sala di incisione i Toto, straordinaria formazione rock costruita attorno alle personalità dei fratelli Porcaro e impreziosita dall’apporto di un tastierista di livello superiore come David Paich e di un chitarrista come Steve Lukather. L’assolo di “Beat It” viene affidato allo stile pirotecnico e potente di Eddie Van Halen, il chitarrista dei Van Halen morto il 6 ottobre di due anni fa. «Ricordo che Eddie si chiuse in un piccolo studio con una dozzina di lattine di birra e in 15 minuti fece l’assolo» dice ancora Quincy Jones. «Perché magari si pensa che tutta la lavorazione di “Thriller” abbia obbedito alle regole di un processo di lavorazione maledettamente lungo. E invece no. In appena otto settimane abbiamo realizzato l’intero album, durante il quale nascevano quasi spontaneamente le idee dei pezzi. L’ho detto altre volte: in quei due mesi ci sembrava di essere a bordo un’astronave, con Michael che scriveva pezzi a tamburo battente mentre l’ingegnere del suono Stevie Swedien e io stavamo giorno e notte in sala a cercare di entrare nello spirito delle canzoni che nascevano a ogni battito d’ali».
L’alchimia tra Mister Q e Swedien ha radici antiche: affonda nelle incisioni di padri del jazz come Count Basie e Dizzie Gillespie. Poi Swedien entra nelle sale di incisione di Mick Jagger, Paul McCartney, Jennifer Lopez, Barbra Streisand e molti altri, portando il suo sapere raffinato e tecnicamente inappuntabile. E ancora Quincy Jones. Mister Q, una volta lei ha detto che quando produce un disco non sa che cosa succederà. «Non ci sono regole scritte. Quando metto assieme la squadra per la realizzazione di un lavoro mi sento come una balia. Poi è tutto nelle mani di Dio. Io devo solo pensare a fare musica che dia i brividi…».
di Fabio SantiniLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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