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Quando la voce era l’anima

Sono passati vent’anni da quel terribile incidente in moto. Alex Baroni è riuscito là dove molti non sono riusciti in un’intera vita: lasciare il segno.
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Quando la voce era l’anima

Sono passati vent’anni da quel terribile incidente in moto. Alex Baroni è riuscito là dove molti non sono riusciti in un’intera vita: lasciare il segno.
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Quando la voce era l’anima

Sono passati vent’anni da quel terribile incidente in moto. Alex Baroni è riuscito là dove molti non sono riusciti in un’intera vita: lasciare il segno.
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Sono passati vent’anni da quel terribile incidente in moto. Alex Baroni è riuscito là dove molti non sono riusciti in un’intera vita: lasciare il segno.
Ci sono voci capaci di smuovere mondi al primo ascolto, per naturale predisposizione a toccare corde profonde, nascoste nell’animo di chi ascolta. In Italia in pochi ci sono riusciti. Uno di questi è stato senza dubbio Alex Baroni, tragicamente scomparso il 13 aprile di vent’anni fa in seguito a un terribile incidente in moto. Eppure, in pochi lo ricordano. Nonostante la sua carriera sia stata un battito d’ali – durato appena il tempo di 5 album in studio e 3 raccolte, tra il 1994 e il 2002 – Baroni riuscì là dove in molti non sono riusciti e mai riusciranno in un’intera vita: lasciare il segno. Mosse i primi passi nel mondo della musica come corista nei tour di artisti del calibro di Ivana Spagna ed Eros Ramazzotti. Fu proprio quest’ultimo, scopertone il talento, a produrre il suo primo album nel 1994, quando ancora cantava nei “Metrica” insieme ad Andrea Zuppini. Quindi nel 1996 fu la volta di Sanremo, ancora una volta come corista in orchestra, poi l’anno dopo come concorrente nella categoria Giovani. La canzone era “Cambiare”. Non vinse ma fu un’autentica sorpresa, aggiudicandosi il premio “Volare” e quello come migliore voce del Festival, assegnato da una giuria presieduta nientemeno che da Luciano Pavarotti, uno che di voce ne sapeva qualcosa. «Lo Stevie Wonder italiano» lo definì Lucio Dalla, con un paragone tutto tranne che esagerato. La voce di Baroni fu infatti qualcosa di unico nel panorama nostrano e ancora oggi, nonostante in tanti ci abbiano provato, resta ineguagliata. In un’epoca senza talent, quando iniziavano ad affermarsi le voci che diventeranno il collante tra i grandi cantautori e il pop degli anni Duemila, lui emerse grazie al talento, alla gavetta, al duro lavoro. Nessuno è riuscito a riempire il vuoto lasciato dalla sua scomparsa: quel sound soul misto al R’n’B, quella capacità di scrivere canzoni e la voce – potente ma anche leggera (tecnicamente sul fiato, si direbbe) – sono stati un incastro quasi impossibile da replicare. Un talento di cui si rese conto anche la Disney, che sempre nel 1997 gli affidò la versione italiana della theme song del film “Hercules”, oltre che la voce del semidio greco da giovane. Un anno d’oro quello, coronato dall’inizio della relazione con Giorgia, con la quale intrecciò la sua vita fino a pochi mesi prima della scomparsa. Proprio Giorgia ha dedicato alla sua memoria più canzoni: dalla struggente “Gocce di memoria” a “Marzo”, nel tentativo di superare il dolore della sua scomparsa, come anche l’amico Ramazzotti con la bellissima “Infinitamente”. Ma se in chi l’ha conosciuto o ascoltato il ricordo non è mai venuto meno, lo stesso non si può dire dei media. Si pensi a quando si è sentita l’ultima volta una sua canzone alla radio o a quante volte è stato ricordato in trasmissioni televisive. Non per un ricordo fine a sé stesso, ma perché la sua musica possa essere d’ispirazione alle nuove generazioni. E quando questo accade ci s’imbatte in artisti del calibro del giovane Folcast e della sua “Scopriti”, portata a Sanremo 2021 ed evidentemente ispirata alla musica di Alex: una ventata d’aria nuova in un panorama musicale arido e monocromatico. di Federico Arduini

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