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Quincy Jones, le origini del genio

Da ieri mattina il mondo della musica è in lutto: a 91 anni ci ha lasciati Quincy Jones, una leggenda, un autentico gigante della musica

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Quincy Jones, le origini del genio

Da ieri mattina il mondo della musica è in lutto: a 91 anni ci ha lasciati Quincy Jones, una leggenda, un autentico gigante della musica

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Da ieri mattina il mondo della musica è in lutto: a 91 anni ci ha lasciati Quincy Jones, una leggenda, un autentico gigante della musica

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Da ieri mattina il mondo della musica è in lutto: a 91 anni ci ha lasciati Quincy Jones, una leggenda, un autentico gigante della musica

Da ieri mattina il mondo della musica è in lutto: a 91 anni ci ha lasciati Quincy Jones, una leggenda, un autentico gigante della musica.

Si consiglia spesso a chi fa il nostro mestiere di evitare certi aggettivi ridondanti, certe immagini e accostamenti, ma mai come in questo caso altri termini rischierebbero di sminuire la grandezza di un genio come pochi altri ce ne furono e ce ne saranno. E quindi eccoci qui immaginarci fra qualche anno a raccontare a chi oggi è un bambino chi sia stato Quincy Jones. Rendendoci conto dell’impossibilità dell’impresa: sarebbe come provare a spiegare in poche parole il contributo di Mozart alla musica del suo tempo. Perché Jones ha incarnato perfettamente lo spirito visionario del Novecento come pochissimi altri, riuscendo a evolversi costantemente, abbattendo ogni tipo di barriera nel campo della musica, miscelando generi, anticipando i tempi, sempre con uno stile unico, sempre fedele a sé stesso.

Jones ha registrato in carriera oltre 2.900 canzoni e più di 3mila album (fra quelli tutti suoi e quelli prodotti), composto una cinquantina di colonne sonore per il cinema e per la televisione, con 28 Grammy Awards conquistati e un record di 79 nomination. Capite bene quindi che mettersi a fare un elenco di quanto fatto sarebbe sciocco e finirebbe peraltro per ridurre a nomi, cifre e primati quanto di più lontano vi sia dalla mera statistica: la musica. E dire che se quel giorno di tanti anni fa un giovanotto sbarbato di nome Quincy non avesse avuto voglia di meringa al limone, se non fosse per questo entrato con alcuni amici in un centro ricreativo dove c’era un pianoforte, chissà quale strada avrebbe preso la sua vita.

Perché Jones era nato a Chicago da una famiglia povera con una madre mentalmente instabile. E soltanto dopo i primi anni vissuti in una baracca – ignorando le urla del padre, spiando i musicisti nei locali e cantando in un gruppo a cappella – capì che la musica sarebbe stata la sua strada. A 13 anni già armeggiava con i primi arrangiamenti per musica da big band. Non è un caso che, dopo essersi appassionato alla tromba, mosse 1 suoi primi passi nel mondo del jazz: iniziò nel 1953 nell’orchestra di Lionel Hampton, per poi abbandonare la carriera da strumentista in nome della composizione e dell’arrangiamento per proprie orchestre, per quella del leggendario Count Basie e per cantanti del calibro (fra gli altri) di Ella Fitzgerald, Ray Charles, Frank Sinatra. Lungo una carriera che ha abbracciato sette decenni, ha spaziato dal jazz delle big band al be-bop, dal gospel al blues, dal soul al funk, dal Quiet Storm R&B alla disco music, dal rock fino al rap.

Jones fu anche produttore strabiliante, capace d’intuizioni geniali. Con il suo lavoro segnò letteralmente un prima e un dopo nella musica di un altro genere, spesso un po’ mal considerato, che aiutò a innalzare benché sulla carta così lontano da lui: il pop. Bastino un paio di esempi su tutti. Fu lui a ideare e produrre nel 1985 “We Are The World”, 45 superstar assolute della musica internazionale riunite per cantare un brano i cui proventi furono devoluti alla popolazione dell’Etiopia, afflitta da una spaventosa carestia (l’attivismo sociale fu una delle colonne della sua vita). Ed era stato lui, tre anni prima, il grande regista dell’album più venduto della storia della musica, “Thriller”, che consacrò definitivamente Michael Jackson a re del pop. Di Jackson aveva curato il precedente disco di debutto da solista (“Off the Wall”) e avrebbe prodotto anche quello successivo (“Bad”), riuscendo con un sapiente lavoro di sintesi – e con tecnologia all’avanguardia – a mescolare il sound di quegli anni (spesso dettandone i paradigmi) con elementi più tradizionali, figli dell’universo Motown.

Come era solito ricordare: «Una grande canzone può rendere una star anche il peggior cantante del mondo; una brutta canzone non può essere salvata neanche dai tre migliori cantanti del mondo».

di Federico Arduini

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